L’istituto dell’applicazione della pena su richiesta (c.d. “patteggiamento”) è stato interessato dalla c.d. “Riforma Cartabia”, che ne ha modificato, tra gli altri, anche gli effetti extra penali. Mi sono posto due domande: 1) Quali sono gli effetti di una sentenza di patteggiamento in materia di reati contro la pubblica amministrazione sulla candidabilità a elezioni del reo stesso? 2) Quali sono gli effetti del suddetto patteggiamento su un’eventuale processo per danno erariale?
1) Quali sono gli effetti di una sentenza di patteggiamento in materia di reati contro la pubblica amministrazione sulla candidabilità a elezioni del reo stesso?
La riforma Cartabia ha stabilito che: La sentenza prevista dall’articolo 444, comma 2, anche quando è pronunciata dopo la chiusura del dibattimento, non ha efficacia e non può essere utilizzata a fini di prova nei giudizi civili, disciplinari, tributari o amministrativi, compreso il giudizio per l’accertamento della responsabilità contabile. Se non sono applicate pene accessorie, non producono effetti le disposizioni di leggi diverse da quelle penali che equiparano la sentenza prevista dall’articolo 444, comma 2, alla sentenza di condanna.
Quindi sembrerebbe escluso ogni effetto extra-penale del patteggiamento, compresi gli effetti sulla candidabilità del reo.
Un’autorevole interpretazione della norma l’ha data il Consiglio di Stato con un parere reso ad ANAC ( parere n. 524 reso in data 29/04/2024) in materia di inconferibilità di incarichi dirigenziali in seguito a patteggiamento, ma che riassume (e conferma) anche le posizioni di Avvocatura dello Stato e Ministero dell’Interno rese in materia di candidabilità alle elezioni. In particolare il Supremo consesso amministrativo ha così stabilito:
“Rileva la Sezione che tale ultima disposizione, successiva all’articolo 3 del d.lgs. n. 39 del 2013, espressamente esclude che le disposizioni di legge diverse da quelle penali che equiparano la sentenza di patteggiamento alla sentenza di condanna producono effetti nel caso in cui non sono applicate pene accessorie.
Ciò premesso, il Collegio evidenzia che la questione interpretativa sollevata con il quesito in trattazione risulta già essere stata affrontata e definita, con orientamento pienamente condivisibile, dalla giurisprudenza (TAR Campania-Salerno, sentenza n. 937/2023 del 24 aprile 2023) e dal Ministero dell’interno, previo parere dell’Avvocatura generale dello Stato, con circolare n. 29/2023, prot. n. 7903 del 17 marzo 2023; tanto sia pure con riferimento alla incidenza del nuovo comma 1 bis dell’articolo 445 c.p.p. sulla misura della incandidabilità prevista dal decreto legislativo n. 235 del 2012 (anch’esso contenente equiparazione espressa in materia della sentenza di patteggiamento alla sentenza di condanna), ma con argomentazioni che risultano pienamente applicabili anche all’istituto della inconferibilità.
E’ stato in proposito osservato che il prefato comma 1 bis dell’articolo 445 “nel suo chiaro tenore testuale (che non consente diverse interpretazioni), ha evidentemente comportato l’abrogazione implicita dell’art. 15, comma 1, D.Lgs. n. 235/2012 (che equiparava la sentenza prevista dall’art. 444, comma 2, c.p.p. alle sentenze di condanna), con la conseguenza che tutti i soggetti, per i quali sia stata pronunciata sentenza di patteggiamento ex art. 444 c.p.p., senza applicazione di pene accessorie…., non incorrono più in una situazione di incandidabilità, potendo così concorrere alle elezioni” (cfr. TAR Salerno, n. 937/2023).
Si è anche evidenziato (cfr. circolare ministeriale n. 29/2023, cit.) che “il predetto organo di consulenza legale si è espresso sulla problematica, osservando che dal tenore testuale della novellata disposizione sembra ricavarsi che – salvo i casi di applicazione di pene accessorie – tutte quelle disposizioni legislative non qualificabili come penali, nelle quali la sentenza resa ex art. 444 c.p.p. è equiparata alla sentenza penale, non trovino più applicazione a far data dall’entrata in vigore della legge Cartabia”; rilevandosi pure in proposito che le misure in materia di incandidabilità contenute nel d.lgs. n. 235 del 2012 non hanno natura penale, alla luce della pacifica giurisprudenza sia comunitaria che nazionale.
.. Vi è, infatti, da considerare che la norma di cui al richiamato comma 1 bis dell’articolo 445 c.p.p., pur avendo una portata generale in relazione al sua ambito categoriale di riferimento, è diretta proprio a limitare l’efficacia di tutte quelle disposizioni extra penali, e come tali speciali, che dispongono l’equiparazione della sentenza di patteggiamento a quella di condanna, quali l’articolo 3 del d.lgs. n. 39 del 2013, e, di conseguenza, essa incide sulla operatività di quest’ultimo, nel senso di escludere l’inconferibilità tutte le volte in cui all’applicazione della pena su richiesta della parte non si accompagni l’applicazione di pene accessorie.“
Quindi il Consiglio di Stato è stato chiaro: chi patteggia non incorre in incandidabilità, a meno che non vi sia l’applicazione di pene accessorie. Quest’ultimo punto è molto importante, poichè in caso di applicazione di una pena accessoria (p.es. l’interdizione dai pubblici uffici), il patteggiamento avrebbe come effetto quello di precludere ogni candidatura a elezioni al destinatario delle misure.
2) Quali sono gli effetti del suddetto patteggiamento su un’eventuale processo per danno erariale?
In materia di danno erariale quando vi è un reato ai danni della pubblica amministrazione, e in particolare il reato di corruzione, vengono in evidenza diversi tipi di danno erariale, tra cui il danno da “tangente” nella misura del doppio delle tangenti percepite, e il danno all’immagine della pubblica amministrazione (anche questo spesso nel doppio del danno diretto); in alcuni casi può essere aggiunto il danno da disservizio.
In caso di patteggiamento, quindi, cosa succede, visto che la Riforma Cartabia ha escluso ogni effetto anche ai fini della responsabilità erariale? Un’autorevole risposta proviene dalla Prima Sezione Centrale di Appello della Corte dei Conti (Corte dei Conti, Prima Sezione Centrale d’Appello, sentenza n 25 del 20 gennaio 2023), che in materia ha stabilito:
rispetto alla novità normativa richiamata, deve, tuttavia, rilevarsi che la natura di piena prova della pronuncia di patteggiamento ex art. 444 c.p.p. è stata sovente esclusa da questa Corte, che ha costantemente ribadito l’autonomia del giudice erariale nell’apprezzamento dei fatti, ai fini dell’accertamento della responsabilità; a tale principio la Sezione territoriale si è rigorosamente attenuta e la conclusione, sul punto, appare esente da critiche. Ad avviso del Collegio, l’argomentazione addotta non si pone in contrasto con il dettato di cui all’art. 445, comma 1 bis, c.p.p., pure nella rinnovata versione, in quanto la condanna della convenuta è basata sulla disamina delle prove versate in atti, ancorché oggetto di acquisizione dalla sede penale. …In definitiva, in disparte ogni considerazione sull’efficacia temporale della disposizione evocata nell’attuale ambito, i principi affermati dalla giurisprudenza erariale – secondo cui sebbene la sentenza di patteggiamento non fornisca prova dei fatti nel giudizio, ciò non esclude l’utilizzo degli accertamenti compiuti ai fini penali, ritualmente riversati nel fascicolo di responsabilità, allo scopo di fondare la condanna risarcitoria – non si potrebbero comunque in contraddizione con la modifica legislativa.
Quindi, per la Corte dei Conti, pur escludendo ogni automatismo derivante dal “patteggiamento”, sono utilizzabili nel processo per responsabilità contabile tutti gli accertamenti compiuti ai fini penali, per cui è pressochè certo che ogni condannato per reati contro la pubblica amministrazione, seppur con applicazione della pena su richiesta, dovrà affrontare un giudizio davanti alla Corte dei Conti, che utilizzerà tutte le prove assunte nel processo penale.