L’eventuale eccedenza oraria del medico non è mai suscettibile di autonoma remunerazione

Corte di Cassazione, sentenza n. 26964 del 17 ottobre 2024

La questione controversa riguarda i criteri di calcolo del debito orario giornaliero dei medici turnisti il cui orario di lavoro è articolato su sei giorni per 38 ore settimanali contrattuali.

Nell’ipotesi di assenza del medico per ferie, malattie, festività, permessi, ecc., l’ASL calcola il debito orario assolto di diritto in 6 ore, anziché in 6,20 ore. Ne consegue che il dirigente medico, per assolvere al debito orario settimanale, deve fare non già le ordinarie 38 ore contrattuali, ma un quid pluris parametrato al numero di assenze di servizio (i.e., 20 minuti in più per ogni legittima assenza registrata nel corso della settimana) che, in quanto orario indebitamente computato, andrebbe (a suo dire) retribuito a parte.

Anche l’art. 24 (“Orario di lavoro dei dirigenti”) del c.c.n.l. 19.12.2019, Area Sanità, dispone al comma 7 che «Ai sensi di quanto disposto dalle disposizioni legislative vigenti, l’orario di lavoro è articolato su cinque o sei giorni, con orario convenzionale rispettivamente di sette ore e trentasei minuti e di sei ore e venti minuti».

La Suprema Corte ha stabilito che nel caso di specie, si rileva che l’art. 17, comma 2, c.c.n.l. del 5.12.1996 per l’area della dirigenza medica e veterinaria – parte normativa quadriennio 1994-97 e parte economica biennio 1994-95 ‒ determina l’orario dei dirigenti medici in 38 ore settimanali, ma l’art. 65, comma 3, secondo periodo, dispone che «la retribuzione di risultato compensa anche l’eventuale superamento dell’orario di lavoro di cui agli artt. 17 e 18 per il raggiungimento dell’obiettivo assegnato».

Se corrisposto il trattamento accessorio costituito dalla retribuzione di risultato (art. 63 c.c.n.l. cit.) non è possibile, quindi, la distinzione tra il superamento dell’orario di lavoro preordinato al raggiungimento dei risultati assegnati e quello imposto da esigenze del servizio ordinario, poiché la complessiva prestazione del dirigente deve essere svolta al fine di conseguire gli obiettivi propri e immancabili dell’incarico affidatogli.

Già in epoca risalente le Sezioni Unite di questa Corte (v. Cass., Sez. Un., 17 aprile 2009, n. 9146) avevano affermato tale regola generale, negando fosse possibile la distinzione tra il superamento dell’orario di lavoro preordinato al raggiungimento dei risultati assegnati e quello imposto da esigenze del servizio ordinario.

In più recenti arresti (Cass. 22 marzo 2017, n. 7348; Cass. 28 marzo 2017, n. 7921; Cass. 26 aprile 2017, n. 10322; Cass. 2 luglio 2018, n. 17260; Cass. 11 luglio 2018, n. 18271; Cass. 8 novembre 2019, n. 28942), relativi ai contratti collettivi del 5.12.1996 e 8.6.2000, la Suprema Corte ha ribadito che l’eccedentarietà oraria non è mai suscettibile di autonoma remunerazione.

Ai principi affermati nelle decisioni di questa Corte innanzi richiamate è stata data continuità con successive pronunce (Cass. 5 agosto 2020, n. 16711; Cass. 7 agosto 2020, n. 16855; Cass. 4 gennaio 2023, n. 173), integralmente condivise dal Collegio, che hanno tenuto conto delle ulteriori disposizioni contenute nel c.c.n.l. 31/11/2005 (ndr c.c.n.l. 3/11/2005), le quali non hanno innovato rispetto alla disciplina dettata dai contratti collettivi del 1996 e del 2000 (v. Cass. n. 28787/2017, Cass. n. 8958/2012).

Questo indirizzo giurisprudenziale è del tutto rispettoso del complessivo impianto della contrattazione collettiva in materia.

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