Consiglio di Stato, sentenza n. 8668 del 30 ottobre 2024
Tradizionalmente si ritiene che in materia di responsabilità precontrattuale il risarcimento debba essere contenuto nei limiti dell’interesse negativo. Quando, come avvenuto nel caso in esame, il contratto non è concluso, il contraente deluso non acquisisce, invero, il diritto a percepire le utilità che avrebbe conseguito in seguito all’adempimento (c.d. interesse positivo), ma unicamente il diritto ad essere messo nella stessa posizione in cui si sarebbe trovato nel caso in cui non avesse mai iniziato le contrattazioni (c.d. interesse negativo).In pratica, secondo un consolidato insegnamento giurisprudenziale, sarebbero risarcibili unicamente a titolo di danno emergente le spese fatte, nonché a titolo di lucro cessante la perdita di eventuali altre opportunità di guadagno ( Cons. St. 15 settembre 2014, n. 4674; Cass.,, 12 febbraio 1982, n. 855; Cass., 14 giugno 1982, n. 3613,; Cass.,25 gennaio 1988, n. 582; Cass., 26 maggio 1992, n. 6294,; Cass., 12 marzo1993, n. 2973,; Cass., 25 febbraio 1994, n. 1897,; Cass., 30agosto 1995, n. 9157; Cass., 10 maggio 1996, n. 4421).
In senso contrario il Collegio ricorda, infatti, che, secondo un costantane indirizzo interpretativo di questo Consiglio di Stato, quando è proposta una domanda risarcitoria, l’assenza di prova non può essere sopperita neppure facendo leva sul metodo acquisitivo, proprio del processo amministrativo impugnatorio, in quanto nell’azione di responsabilità per danni, il principio dispositivo e dell’onere della prova, sancito in generale dall’ art. 2697, primo comma, c.c., opera con autonoma pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio invece dell’azione di annullamento (cfr. per tutte, Consiglio di Stato, Sez. VI, 9 settembre 2021, n. 6240; in termini, Consiglio di Stato Sez. V, 18 marzo 2019, n. 1737; Consiglio di Stato, IV, 5 febbraio 2018, n. 701), ragione per la quale la parte che lamenta un danno deve fornirne una prova rigorosa (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 23 aprile 2021, n. 7; id., 12 maggio 2017, n. 2; cfr. anche Cass. civ. Sez. III, 17 settembre 2013, n. 21255).
Il principio è stato ribadito anche di recente dalla Sezione (Sez. IV, 16 novembre 2022, n. 10092) che ha avuto modo di puntualizzato che nelle cause che presentano una domanda risarcitoria, resta fermo l’onere di allegazione e prova da parte del danneggiato (artt. 63, comma 1, e 64, comma 1, c.p.a.), poiché nell’azione di responsabilità per danni il principio dispositivo sancito in generale dall’art. 2697, primo comma, c.c. opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento (ex art. 64, commi 1 e 3, c.p.a.), ragione per la quale le parti non possono sottrarsi all’onere probatorio e rimettere l’accertamento dei propri diritti all’attività del consulente tecnico d’ufficio.
In applicazione dei principi enucleati, il Collegio ritiene di poter positivamente valutare esclusivamente il danno costituito dalle spese effettivamente sostenute e comprovate sulla base delle risultanze documentali in atti.