Essere testimone di nozze configura un conflitto di interesse tra il candidato e il commissario di un concorso

Consiglio di Stato, sentenza n. 8927 del 7 novembre 2024

Non vi è dubbio alcuno che, anche nello specifico contesto storico in cui si vive, la comunità generale nutra un senso di profondo rispetto, devozione e attaccamento per la figura del testimone di nozze e per la funzione che egli è chiamato ad officiare.

Di conseguenza, non colgono nel segno le affermazioni, pure riproposte dalla ricorrente, secondo cui il testimone di nozze non sarebbe avvinto con gli sposi da alcun vincolo significativo in ragione del fatto che il suo intervento sarebbe del tutto episodico nella vita, essendo piuttosto vero il contrario, ossia che l’unicità del momento rende tanto più intenso il vincolo instaurato; e inoltre, che il testimone di nozze parteciperebbe passivamente alla celebrazione del matrimonio, quando invece la scelta dei nubendi notoriamente cade su una persona significativa della loro vita, sul piano personale o professionale, anche allo scopo, spesso, di rinsaldare i rapporti professionali creando un maggior coinvolgimento del collega nei legami afferenti alla sfera persona e familiare dell’interessato; e infine, che l’ufficio di testimone di nozze sarebbe stato espletato ben diciannove anni prima, con conseguente inattualità e persistenza del vincolo, per giunta in base alla scelta di uno solo dei nubendi, il marito della ricorrente, quando è invece noto che gli atti dello stato civile non fanno alcuna distinzione giuridica tra i testimoni dello sposo e della sposa, e che la datazione di un accadimento storico, anche risalente nel tempo, non è in grado di cancellare l’importanza, anche sociale, che quell’evento ha rivestito nella vita di una persona.

Ritiene, in conclusione, il Collegio, che la figura del testimone di nozze ben possa integrare, per la considerazione sociale di cui l’ufficio gode, quella condizione di grave convenienza, indice di una vicinanza personale tra il commissario e la candidata, di tale intensità da essere percepita (o potenzialmente percepita), all’esterno, come un potenziale conflitto di interessi o una minaccia alla imparzialità e alla indipendenza dell’organo di valutazione.

Di conseguenza, si appalesa del tutto legittima sia la pretesa dell’Università degli Studi a che tale situazione fosse fatta oggetto di previa comunicazione all’esterno, assumendosi il commissario, in ragione della dichiarazione resa a verbale ai sensi dell’art. 51, c.p.c., la auto-responsabilità nella valutazione delle potenziali situazioni di (in)opportunità a ricoprire certi incarichi, sia la successiva e conseguente decisione dell’Ateneo medesimo di annullare in autotutela la procedura, in modo da poterla riedire totalmente scevra da ogni sospetto o dubbio di parzialità, di fatto rafforzato, nella specifica vicenda considerata, anche dal fatto, invero in sé non significativo, ma tuttavia singolare, che solo la ricorrente abbia riportato il giudizio ‘OTTIMO’, mentre tutti gli altri candidati, indistintamente, quello di ‘PIU’ CHE BUONO’.

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