Corte dei Conti, Prima Sezione Centrale d’Appello, sentenza n. 5 del 14 gennaio 2025
Nell’atto di citazione, la Procura regionale ha fatto rilevare che la numerosa attività professionale svolta in favore di soggetti privati, reiterata nel tempo, sarebbe incompatibile con lo status di professore a tempo pieno, e che vi è stata la percezione di ingenti compensi, in alcuni anni addirittura superiori alla retribuzione corrisposta dall’Ateneo.
Il Collegio di Appello ha ricordato che al comma 2-ter dell’art. 9, del D.L. 22 aprile 2023, n. 44, si dispone quanto segue:
2-ter. Il primo periodo del comma 10 dell’articolo 6 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, con specifico riferimento alle attività di consulenza, si interpreta nel senso che ai professori e ai ricercatori a tempo pieno è consentito lo svolgimento di attività extra- istituzionali realizzate in favore di privati o enti pubblici ovvero per motivi di giustizia, purché prestate senza vincolo di subordinazione e in mancanza di un’organizzazione di mezzi e di persone preordinata al loro svolgimento, fermo restando quanto previsto dall’articolo 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.
Dal compendio probatorio e documentale prodotto dall’attuale appellato, si evince che le attività in contestazione siano state autorizzate per GSE e per CSEA e per il resto legittimamente svolte in quanto rientranti sotto la nozione di “perizie giudiziarie” o comunque di attività svolte “per motivi di giustizia” secondo la norma di interpretazione autentica in precedenza richiamata.
Nei termini sopra delineati, l’appello della Procura regionale non è meritevole di accoglimento, in quanto esso si è limitato a richiamare in modo generico e non circostanziato le risultanze dell’attività di indagine compiuta dalla Guardia di Finanza: a fronte delle numerose e dettagliate allegazioni di controparte, la Procura regionale ha infatti persistito nel sostenere indistintamente la tesi di una presunta illiceità dell’attività svolta, senza confutare in modo puntuale, avendone l’obbligo, le contrarie e documentate affermazioni formulate in primo grado da controparte, il cui contenuto è stato accolto nel provvedimento giudiziale impugnato. Ne consegue che i motivi di appello sono infondati.