TAR Toscana, sentenza n. 1538 del 23 dicembre 2024
In un contesto tipicamente discrezionale quale è quello dell’informazione interdittiva antimafia, la Sezione non può pertanto che condividere la soluzione di C.G.A., sez giur., ord. 15 maggio 2023, n. 149 (oltre che, in altro campo, di T.A.R. Lazio, sez. IV-ter, 1° marzo 2024, n. 4119) e concludere che, dopo le modificazioni disposte dalla riforma Cartabia, la prova di determinati fatti giuridici necessaria per l’applicazione dei provvedimenti interdittivi discrezionali non possa limitarsi al semplice richiamo della sentenza di patteggiamento intervenuta, che risulta inutilizzabile ai sensi dell’art. 445, comma 1-bis c.p.p.
Come esattamente rilevato dalla difesa delle Amministrazioni resistenti alla pubblica udienza del 17 dicembre 2024, quanto sopra rilevato non esclude per nulla la possibilità dell’Amministrazione di valutare autonomamente i comportamenti posti a base della vicenda penale; con tutta evidenza, si tratta, infatti, di una possibilità di ricostruzione autonoma dei comportamenti assunti dagli interessati sulla base di varia documentazione (anche proveniente dagli atti penali, ove utilizzabili) che non è minimamente intaccata dai principi sopra enunciati e che non è certamente esclusa dalla riforma Cartabia.
Deve però trattarsi di una ricostruzione autonoma dei comportamenti posti a base della vicenda penale e della complessiva possibilità che si tratti di fatti indicativi di una (possibile) infiltrazione della criminalità organizzata che non può esaurirsi nel mero richiamo della sentenza di patteggiamento, dei capi di imputazione (la cui elencazione non implica certo un qualche accertamento in ordine alla responsabilità dell’imputato) o anche nel richiamo delle argomentazioni presenti nel testo della sentenza (e che, nel caso che occupa, risultano particolarmente lunghe ed articolate) in ordine alla fondatezza dell’ipotesi accusatoria ed all’impossibilità di procedere all’assoluzione ai sensi dell’art. 129, 1° comma c.p.p.; con tutta evidenza, si tratta, infatti, di parti costitutive della sentenza di patteggiamento che oggi incorrono nel divieto previsto dall’art. 445, comma-bis c.p.p. e che non possono essere utilizzate a fini probatori nel procedimento amministrativo, esaurendo ormai i propri effetti (soprattutto ai fini della verifica in ordine alla mancanza delle cause di non punibilità di cui all’art. 129, 1° comma c.p.p.) nell’ambito penalistico.
Quanto sopra rilevato, non esclude però la possibilità di utilizzare il “materiale penalistico” (ove ovviamente utilizzabile) in sede amministrativa, ma questo “trasbordo” non può esaurirsi nel solo richiamo di argomentazioni utilizzate ad altri fini, dovendo costituire oggetto di un’autonoma valutazione amministrativa.
Alla fine, l’approdo finale del sistema è pertanto per l’autonomia delle valutazioni poste a base del procedimento amministrativo che costituisce la sede propria per una valutazione autonoma dei fatti eventualmente idonei a determinare l’emissione dell’informazione interdittiva, secondo quella logica di massima flessibilità ed adattamento alla situazione concreta che è già stata sottolineata dalle sentenze citate al punto 2 della sentenza (soprattutto Cons. Stato, sez. III, 18 settembre 2023, n. 8395) e che oggi è potenziata dall’impossibilità di esaurire l’obbligo motivazionale nella sola citazione della sentenza di patteggiamento che deriva dal nuovo testo dell’art. 445, comma 1-bis c.p.p.