Incarichi ai medici in pensione: c’è la proroga, ma resta qualche dubbio sul divieto di cumulo con la pensione (anticipata e non)

Il decreto “milleproroghe” 2025 (d.l. 202/2024) con l’art. 4, comma 12, ha prorogato fino al 31 dicembre la possibilità di conferire incarichi di lavoro autonomo a medici e sanitari in pensione (All’articolo 36, comma 4-bis, del decreto-legge 21 giugno 2022, n. 73, convertito, con modifiche, dalla legge 4 agosto 2022, n. 122, relativo alla proroga degli incarichi semestrali di lavoro autonomo per i dirigenti medici, veterinari e sanitari, nonché per il personale del ruolo sanitario del comparto sanità, collocati in quiescenza, anche ove non iscritti al competente albo professionale in conseguenza del collocamento a riposo, nonché per gli operatori socio-sanitari collocati in quiescenza, le parole: «31 dicembre 2024» sono sostituite dalle seguenti: «31 dicembre 2025, nel rispetto della disciplina vigente in materia di spesa di personale)

Il testo non necessita di particolare interpretazione, se non per un piccolo particolare, cioè per il divieto di cumulo tra redditi da lavoro e pensione anticipata.

Infatti l’analogo “milleproroghe” 2024 (d.l. 215/2023) con l’art. 4 comma 6 aveva prorogato già la disposizione originaria, specificando con l’ultima frase: “Resta fermo quanto previsto dagli articoli 14, comma 3, e 14.1, comma 3, del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26“.

La norma citata sancisce il divieto di cumulo tra redditi da lavoro e pensione anticipata: 3. La pensione di cui al comma 1 non è cumulabile, a far data dal primo giorno di decorrenza della pensione e fino alla maturazione dei requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia, con i redditi da lavoro dipendente o autonomo, ad eccezione di quelli derivanti da lavoro autonomo occasionale, nel limite di 5.000 euro lordi annui

A prima vista sembrerebbe che il divieto di cumulo, quindi, sia stato rimosso, ma ad una lettura pià attenta potrebbe sorgere qualche dubbio. L’ultima frase dell’art. 4 comma 6 del dl 215/2023 ricordava il divieto di cumulo, che, però, vigeva e vige in virtù di un’autonoma disposizione di legge, che non è stata abrogata.

Per derogare, quindi, ad una norma di legge, necessita una deroga espressa, che, in questo caso, non c’è. Anzi, si potrebbe sospettare che la disposizione di cui all’ultima frase, che non reca in sè nessun termine o scadenza, sia stata considerata di per sè sufficiente a “ricordare” all’interprete la vigenza del divieto generale di cumulo tra redditi da lavoro e pensione anticipata.

Un altro e più arguto interprete potrebbe obiettare:

  • l’art. 4, comma 12 del d.l. 202/2024 ha prorogato l’efficacia dell’art. 36 comma 4-bis del dl 73/2022;
  • l’articolo 36, comma 4-bis, del dl 73/2022 richiama espressamente le disposizioni dell’articolo 2-bis, comma 5, del dl 18/2020;
  • l’art. 2-bis comma 5 del dl 18/2020, all’ultima frase stabilisce: Agli incarichi di cui al presente comma non si applica l’incumulabilità tra redditi da lavoro autonomo e trattamento pensionistico di cui all’articolo 14, comma 3, del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4.

Questa ultima frase, che è ancora l’unica deroga vigente, si applica quindi agli incarichi in argomento? Oppure, come ha già una volta scritto l’INPS  circolare n. 74/2020, questa deroga si applica solo agli “incarichi COVID”? (Allora l’INPS scriveva: Ai fini della cumulabilità, si fa presente che il reddito da lavoro autonomo per il quale non opera il divieto di cumulo deve riferirsi esclusivamente all’attività lavorativa prevista dal citato articolo 2-bis, comma 5, la cui durata non deve essere superiore ai sei mesi, e comunque entro il termine dello stato di emergenza).

Per ultimo, ma non per importanza, si ricorda che già la Corte dei Conti (Corte dei Conti, sezione giurisdizionale della Liguria, sentenza n. 191/2019) ha ritenuto legittima la richiesta dell’INPS di restituzione delle rate di trattamento pensionistico erogate a causa del divieto di cumulo tra pensione (di ogni tipo, anche non anticipata) e retribuzione, sancito per il pubblico impiego dall’art. 4 lett. f) del D.P.R. n.758 del 1965, ed ancora vigente in virtù di una complessa sequenza di atti normativi di abrogazione e reviviscenza (Infatti Il d.lgs. 24 febbraio 2012, n. 20 nel sopprimere il numero 552 dell’art. 2268, comma 1, del D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66 ha conseguentemente disposto, con l’art. 9, comma 1,lettera p numero 4 la modifica dell’art. 4, e ha disposto, con l’art. 10, comma 8, lettera a, numero 2 la modifica dell’art. 4). In tale divieto si incorre, ai sensi dell’art. 4 citato, se “il cumulo dei trattamenti di cui al primo comma dell’art. 1, non è ammesso nei casi in cui il nuovo servizio costituisce derivazione, continuazione o rinnovo del precedente rapporto che ha dato luogo alla pensione.

E anche la Corte dei Conti d’Appello (Corte dei Conti, Terza Sezione Centrale di Appello, sentenza n. 216 del 11 maggio 2023) ha, in altro caso, ha condannato i convenuti sottolineando che  le competenze professionali maturate, e valorizzate ai fini del conferimento dell’incarico, abbiano rappresentato la causa genetica del nuovo rapporto.

Un chiarimento sarebbe auspicabile e necessario, visto che molti incarichi a medici in pensione con ogni probabilità sono stati già prorogati dal 1° gennaio 2025.

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