Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione Veneto, sentenza n. 75 del 19 marzo 2025
Quanto al rilievo del reato di cui all’art. 615 ter c.p. ai fini della risarcibilità del danno all’immagine cagionato alla P.A. davanti al Giudice contabile, la sua rilevanza deve ritenersi conclamata alla luce delle previsioni dell’art.1 comma 1 sexies, della legge n. 20/1994, il quale prevede la risarcibilità del danno all’immagine della pubblica amministrazione “derivante dalla commissione di un reato contro la stessa pubblica amministrazione” e soprattutto, dell’art. 51, comma 7, del d.lgs. n.174/2016 ai sensi del quale “La sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nonché degli organismi e degli enti da esse controllati, per i delitti commessi a danno delle stesse, è comunicata al competente procuratore regionale della Corte dei conti affinché promuova l’eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale nei confronti del condannato. Resta salvo quanto disposto dall’articolo 129 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271”.
Orbene, dal tenore testuale delle richiamate disposizioni – essendo stata al contempo abrogata dalle stesse norme transitorie del codice di giustizia contabile (art. 4, lett. g ed h), la previsione dell’art.7 della legge n. 97/2001 (richiamato dall’art. 17, comma 30-ter, del decreto-legge n. 78/2009, con effetti, in passato, implicitamente limitativi dell’ambito di esercizio dell’azione di responsabilità per il risarcimento del danno all’immagine ai soli reati propri dei pubblici ufficiali di cui al capo I del titolo II del libro II del codice penale) – deriva la perseguibilità del danno all’immagine della pubblica amministrazione ogni qualvolta la commissione di un reato commesso “a danno” dell’Amministrazione (accertato con sentenza di condanna passata in giudicato) abbia leso il prestigio e l’imparzialità dell’Amministrazione stessa.
Ed è appunto questo il caso di specie, poiché il convenuto si è reso responsabile di un fatto di reato con condotte di accesso abusivo, per fini privati, ad una banca dati riservata della Pubblica Amministrazione in un settore cruciale quale quello dell’Anagrafe Tributaria.
Deve, inoltre, essere puntualizzato che non sussistendo alcuna contestazione in ordine alla commissione dei fatti che hanno costituito oggetto dell’accertamento penale, è la stessa sentenza della Corte d’Appello di Venezia, passata in giudicato il 22.2.2023, a dare conto della sostanziale confessione dell’odierno convenuto in merito agli stessi fatti e della proposizione in sede penale di un atto di appello ai limiti dell’ammissibilità.