Corte di Cassazione, sentenza n. 7481 del 20 marzo 2025
ll legislatore, nel recepire approdi ai quali questa Corte era già pervenuta, ha qualificato perentori i termini per la contestazione dell’addebito e per la conclusione del procedimento, mentre per gli ulteriori termini ha fissato la regola di carattere generale secondo cui la violazione non determina la decadenza dall’azione disciplinare né l’invalidità degli atti e della sanzione irrogata, purché non risulti irrimediabilmente compromesso il diritto di difesa del dipendente, e le modalità di esercizio dell’azione disciplinare, anche in ragione della natura degli accertamenti svolti nel caso concreto, risultino comunque compatibili con il principio di tempestività.
La disposizione, nella parte in cui, esclusa la perentorietà, fa riferimento al principio di tempestività, da verificare «in ragione degli accertamenti svolti nel caso concreto», nella sostanza estende, in relazione ai termini diversi da quello iniziale e finale, all’impiego pubblico contrattualizzato quel concetto di «tempestività relativa» che la giurisprudenza ha elaborato, nel silenzio del legislatore, nell’interpretazione dell’art. 7 della legge n. 300/1970, che affonda le sue radici nella tutela effettiva del contraddittorio procedimentale ed è volto ad impedire che il trascorrere del tempo possa incidere sul diritto del lavoratore di difendersi, rendendo difficoltosa la possibilità di apprestare adeguate giustificazioni.
All’esigenza primaria di assicurare il diritto di difesa del lavoratore, nei termini sopra indicati, si affianca, poi, quella di precludere che in relazione all’esercizio del potere disciplinare il datore di lavoro tenga un comportamento contrario ai canoni generali di correttezza e buona fede e, per questo, l’immediatezza deve essere declinata in modo da adattarsi alle circostanze specifiche del caso concreto, ossia tenendo conto delle ragioni dell’asserito ritardo, del tempo necessario per l’accertamento dei fatti, della complessità della struttura organizzativa del datore, della natura dei fatti contestati (cfr. Cass. S.U. n. 30985/2017).
In quest’ottica, allora, in relazione al termine fissato per la trasmissione degli atti all’UPD non si può ritenere contrario ai principi di correttezza e buona fede il comportamento dell’amministrazione che, avuta notizia dell’illecito asseritamente commesso dal dipendente, ne verifichi preliminarmente la fondatezza perché, come questa Corte ha già affermato «è a tutela dello stesso lavoratore evitare che vengano promosse iniziative disciplinari ancora prive di sufficienti dati conoscitivi; né risponde ad un’esigenza di economia ed efficienza dell’agire amministrativo l’apertura di procedimenti disciplinari in assenza di significativi elementi di riscontro della responsabilità» (Cass. n. 33236/2022; Cass. n. 35061/2023).
Inoltre, quanto alla lesione del diritto di difesa derivante dal ritardo nella trasmissione, è necessario, affinché questa possa dirsi realizzata, che « l’incolpato denunci, con concreto fondamento, l’impossibilità o l’eccessiva difficoltà della sua difesa indotta dal compimento di tale attività istruttoria pre-procedimentale» (Cass. n. 32491/2018).