Consiglio di Stato, sentenza n. 6844-6848 del 13 luglio 2023
La società ricorrente ha domandato, con istanza inviata ad ARIA il 17 dicembre 2021, la revisione del corrispettivo, stante il vertiginoso aumento del costo dell’energia elettrica, che aveva raggiunto nel mese di dicembre 2021 il prezzo di 281,24 euro/MWh, rappresentando che il solo incremento dei costi dovuto all’energia elettrica era pari al 130% del corrispettivo previsto in convenzione per la fornitura dell’ossigeno liquido medicinale e pari al 164% del corrispettivo previsto in convenzione per la fornitura dell’azoto medicinale. La società ARIA ha negato la revisione dei prezzi.
Preliminarmente è necessario ricondurre la controversia all’interno della sua corretta cornice di inquadramento giuridico.
Per ciò che concerne la giurisdizione, è ormai incontroversa l’ascrizione della lite alla giurisdizione amministrativa esclusiva di cui all’art. 133, lettera e), n. 2, del c.p.a., concernente le controversie relative alla clausola di revisione del prezzo .
Nonostante talune incertezze o ambiguità lessicali che si rinvengono nella comune giurisprudenza formatasi sul punto (che parla a volte di una pretesa “discrezionalità” della parte pubblica del contratto nella decisione sull’an della revisione, quasi evocando logiche attinenti all’attribuzione della giurisdizione generale di legittimità, in realtà estranee all’attribuzione della giurisdizione esclusiva), non vi è dubbio sul fatto che la controversia in materia di revisione dei prezzi appartiene per intero alla fase di esecuzione del contratto (salvo alcuni residui profili relativi al principio di immutabilità delle condizioni di gara) e che l’attribuzione alla giurisdizione esclusiva si giustifica, in deroga al normale criterio di riparto (che avrebbe determinato senza dubbio l’assegnazione al giudice civile dei contratti), per l’inestricabile intreccio tra diritti soggettivi e interessi legittimi che caratterizza tale blocco di materia (nel quale la “discrezionalità” dell’amministrazione presenta una connotazione affatto particolare, che si avvicina di più alla “discrezionalità” propria dei poteri civilistici del privato contraente nell’esercizio dei suoi diritti potestativi e delle sue facoltà di scelta nell’ambito di un rapporto obbligatorio sinallagmatico di durata che non alla comune “discrezionalità amministrativa”, di cui l’amministrazione dispone nell’esercizio dei suoi ordinari poteri autoritativi di cura finale dei suoi compiti istituzionali).
Tale inquadramento giuridico implica due conseguenze logiche: in primo luogo, la centralità, in subiecta materia, del rapporto giuridico tra le parti, che si fonda su un contratto e attiene naturalmente alla sua dinamica esecutiva, trattandosi, in sostanza, di un così detto (possibile) “vizio funzionale del sinallagma”, dovuto a sopravvenienze teoricamente capaci di alterarne l’equilibrio economico; in secondo luogo (e di conseguenza), in questa tipologia di controversie è più che mai evidente la necessità che la cognizione del giudice si estenda dall’atto al rapporto, così come, di converso, risulta inappropriato, perché incongruo rispetto alla configurazione della res litigiosa, un approccio di tipo puramente impugnatorio incentrato sui vizi formali e procedurali dell’atto, e ciò anche al di là della configurazione della domanda, poiché, anche in questo campo, come è regola generale, non è il petitum formale, ma quello sostanziale, incentrato sulla causa petendi, che determina il tema della decisione (e il tipo di sindacato del giudice).