Corte dei Conti, sezione giurisdizionale di Bolzano, sentenza n. 16 del 27 luglio 2023
La Procura regionale contestava al Presidente della Provincia autonoma di all’epoca dei fatti, la causazione di un pregiudizio all’immagine dell’Ente pari a € 361.463,84, a seguito della definitiva condanna alla pena di due anni e mezzo di reclusione inflittagli per peculato in relazione a una serie di spese a titolo personale, tramite somme attinte dal Fondo spese riservate (c.d. SOFO) di cui all’art. 2, l. p. n. 6/1994, poi abrogato, mediante condotte reiterate dal dicembre 2004 all’ottobre 2012, per l’ammontare di € 180.731,92.
La vicenda risale al 2012, con uno scontro istituzionale con pochi precedenti, che ha coinvolto attori molto importanti, fino a lambire le istituzioni più importanti della nostra Repubblica. Non volendo, però, rievocare tutta la vicenda, ci si limita a riportare la sentenza in argomento con cui la Corte dei Conti ha deciso solo sul danno all’immagine causato alla PA.
La Corte ha in particolare deciso che va innanzitutto disattesa l’eccezione di intervenuta (parziale) prescrizione, essendo evidente (e pacifico in giurisprudenza) che, se l’Ordinamento ha subordinato la tutela risarcitoria del danno all’immagine alla conclusione del processo penale, il relativo dies a quo non potrà che coincidere con il passaggio in giudicato della sentenza di condanna, qui realizzatosi con la pronuncia della Sezione II della Cassazione n 33952/2021.
In merito all’eventuale conflitto di giudicati contabili, atteso che nella precedente condanna riguardante la restituzione delle somme era stato escluso il dolo, la medesima Sezione ha ripetutamente avuto modo di rimarcare, ad esempio con la sentenza n. 50/2020: “L’esistenza di un tale danno non discende certo automaticamente dall’accertamento degli illeciti dai quali si pretende sia derivato, ma deve essere accertata agli atti di causa in termini di perdita di prestigio come conseguenza del fatto lesivo (Corte conti, SS.RR., sent. n.1/2011); a tal fine suppliscono i criteri che, al termine di una lunga elaborazione giurisprudenziale, sono stati forniti dalle Sezioni riunite di questa Corte per individuare la soglia di lesività della fattispecie (ex plurimis, SS.RR. giur., nn. 1/QM/2011 e 10/QM/2003) onde poterne concludere la sua concreta lesività al bene ‘immagine’ della P.A.
In sintesi, l’esistenza e l’entità della lesione deve essere accertata sulla base di tre elementi:
-di natura oggettiva, relativi alla oggettiva gravità del fatto, alle modalità di perpetrazione, all’eventuale reiterazione dello stesso e all’entità dell’arricchimento;
-di natura soggettiva, relativi al ruolo rivestito dall’agente nell’ambito della pubblica amministrazione di appartenenza;
-di natura sociale, relativi alla negativa impressione suscitata nell’opinione pubblica e anche all’interno dell’amministrazione d’appartenenza, all’eventuale clamor fori e alla diffusione e amplificazione del fatto per conseguenza del riflesso sui mass media.”
Restando sul piano generale in riferimento all’importo del danno all’immagine, si osserva che la misura del duplum delle somme illecitamente percepite rinviene comunque la propria origine nel quadro dei suddetti consolidati parametri (soggettivo, oggettivo e sociale) di matrice pretoria elaborati ai sensi dell’art. 1226 c.c. (cfr., ex plurimis, Sez. III n. 241/2019 e n. 6/2021, nelle quali, coerentemente, non si manca altresì di precisare che il cennato comma 1-sexies non ha introdotto nell’Ordinamento alcuna nuova sanzione).
Venendo al merito, occorre da subito puntualizzare che il presente esame, nell’attenere esclusivamente all’asserito pregiudizio cagionato all’immagine della PAB a seguito della menzionata condanna penale a due anni e mezzo per il reato di peculato, non denota quindi alcuna interferenza con qualsivoglia valutazione di tenore politico e/o amministrativo, in particolare relativamente all’addotta perdurante reputazione dell’ex presidente e al connesso “prestigio acquisito” dalla Provincia durante il suo quasi venticinquennale mandato. Di conseguenza risultano inconferenti le prospettazioni difensive sul prestigio acquisito dalla Provincia autonoma durante la Presidenza del convenuto.
Invero (e lungi da ogni ‘automatismo’ di sorta, ripetutamente paventato della difesa), alla Sezione appare assai più convincente la posizione dell’attore erariale, siccome in grado di connettere il clamore mediatico che si è indubbiamente originato nella specie alla ragione reale che ne sta alla base. Soccorrono plasticamente al riguardo le parole della Corte d’appello: “non era neppure ipotizzabile che il Presidente della Provincia, uomo dalla quarantennale esperienza amministrativa e con le particolari attitudini nel campo della organizzazione politica che tutti gli riconoscono, non sapesse o non capisse che non poteva pagare con i soldi pubblici la fattura del dentista e del notaio, le spese condominiali e le tasse per la ex moglie, i viaggi privati, la cerimonia di nozze del figlio, eccetera eccetera. Come non condividere l’ammonimento contenuto nel gravame del P.M., per cui a nessuno è consentito usare a proprio lìbito le casse pubbliche ‘come un bancomat’? Anche il più sprovveduto degli amministratori non può non rendersene conto.”
Così appurato un clamor fori di imponente diffusività e dunque un corrispondente pesante pregiudizio all’immagine della PAB, occorre adesso procedere alla relativa quantificazione. Nel richiamare le considerazioni esposte al par. 6, la Sezione rileva il corretto ricorso del requirente ai criteri di matrice pretoria di cui alle pp. 16 e 17 del libello introduttivo (il doppio delle somme oggetto di peculato)
Reputa nondimeno il Collegio che la gravità del nocumento in questione vada in qualche modo attenuata in considerazione della iniziativa consiliare (disegno di legge del 21 dicembre 2012) che – verosimilmente anche alla luce del sequestro della documentazione afferente la gestione del SOFO disposta nell’ottobre 2012 dall’allora Procuratore regionale presso questa Sezione (oltre che dell’adozione del d. l. 10 ottobre 2012, n. 174, c.d. decreto Monti) – è sfociata nella l. p. n. 4 del 18 marzo 2013, segnatamente, per quanto qui interessa, nella disposizione recata dal già citato art. 8, in forza della quale il SOFO è venuto meno dal 27 marzo di quell’anno. Tale circostanza, in applicazione del canone valutativo del ‘più probabile che non’, lascia in effetti ragionevolmente presumere che la qui accertata negativa percezione dei consociati circa l’immagine della Provincia risulti pur parzialmente controbilanciata dalla abrogazione di cui sopra.
Di conseguenza questo Giudice reputa congruo quantificare in via equitativa la lesione in parola nella misura (arrotondata per difetto) di una volta e mezzo l’ammontare del totale degli importi (€ 180.731,92). Il convenuto va in definitiva condannato al risarcimento in favore della Provincia della somma di € 270.000,00