In vista, in particolare, di una più incisiva tutela degli equilibri di bilancio, la Sezione ha dato ingresso alla verifica incidentale di fatti gestori (Corte cost. sent. n. 184/2022) conseguenti ad eventuali segnalazioni ricevute, immediatamente o prima facie, lesivi del bene bilancio o di altre fattispecie, correlati – nel caso specifico – alla dinamica dei rapporti creditori e debitori tra ente locale e società partecipata, in merito a una vicenda transattiva che attiene a rispettive poste di entrata e uscita , il cui scrutinio appartiene ratione materiae alla competenza dei corrispondenti organi di revisione (art.11, comma 6, lett j del D. Lgs. n. 118/2011).
I principi valevoli in materia di transazioni degli enti pubblici.
Con specifico riferimento alla materia degli accordi transattivi conclusi dagli enti pubblici, è utile richiamare alcuni principi giurisprudenziali elaborati dalla Corte dei conti (v. ex multis, Sezione Controllo Regione Lombardia deliberazione n. 80/2017/PRSE; Sezione Controllo Regione Lombardia deliberazione n.1116/2009/PAR; Sezione Controllo Regione per l’Umbria deliberazione n.123/2015/PAR):
– anche gli Enti pubblici possono di norma transigere le controversie delle quali siano parte ex art 1965 c.c.;
– i limiti del ricorso alla transazione da parte degli Enti pubblici sono quelli propri di ogni soggetto dell’ordinamento giuridico, e cioè la legittimazione soggettiva e la disponibilità dell’oggetto (ovvero posizioni giuridiche soggettive disponibili ex art. 1966 c.c., suscettibili di essere estinte in forma negoziale), e quelli specifici di diritto pubblico, e cioè la natura del rapporto tra privati e pubblica Amministrazione. È nulla, dunque, la transazione nel caso in cui i diritti che formano oggetto della lite sono sottratti al potere dispositivo delle parti: sotto quest’ultimo profilo va ricordato che, nell’esercizio dei propri poteri pubblicistici, l’attività degli Enti territoriali è finalizzata alla cura concreta di interessi pubblici e quindi alla finalizzazione dell’attività all’interesse specificamente intestato all’Ente. Pertanto, i negozi giuridici conclusi con i privati non possono condizionare l’esercizio del potere dell’Amministrazione pubblica sia rispetto alla miglior cura dell’interesse concreto della comunità amministrata, sia rispetto alla tutela delle posizioni soggettive di terzi, secondo il principio di imparzialità dell’azione amministrativa.
Scelta discrezionale e parametro del buon andamento.
La verifica della legittimità dell’attività amministrativa non può più ormai prescindere da una valutazione del rapporto tra gli obiettivi conseguiti e spese sostenute, con l’ulteriore effetto che la violazione dei criteri di economicità e di efficacia assume specifico rilievo nel giudizio di responsabilità: occorre, pertanto, la massima prudenza da parte dell’ente, nonché una dettagliata motivazione che dia conto del percorso logico seguito per giungere alla definizione transattiva della controversia, anche sulla base di un giudizio prognostico circa l’esito del contenzioso, dovendosi predicare la “necessità che la transazione sia preceduta da una congrua motivazione, nella quale siano esaminati e valutati i rischi connaturati a simile fattispecie, legati ad esempio alla prevedibile durata ed al prevedibile (o imprevedibile) esito di un contenzioso già pendente” (Cons. Stato, Sez. III, 7 luglio 2011, n. 4083).
2.3.1. Buon andamento e suo collegamento con parametri economici.
Un’adeguata ponderazione dei contenuti degli accordi transattivi, con puntuale valutazione degli interessi in gioco rispettando il canone di buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost., non può, in secondo luogo, coerentemente prescindere dalla convenienza economica della transazione in relazione all’incertezza del giudizio, intesa quest’ultima in senso relativo, da valutarsi in relazione alla natura delle pretese, alla chiarezza della situazione normativa e ad eventuali orientamenti giurisprudenziali. Lo scrutinio della legittimità dell’attività amministrativa ,anche attraverso una valutazione del rapporto tra gli obbiettivi conseguiti e i costi sostenuti, implica che “il giudice contabile può invero e deve verificare la compatibilità delle scelte amministrative con i fini pubblici dell’ente, che devono essere ispirati a criteri di economicità ed efficacia, rilevanti sul piano non della mera opportunità bensì della legittimità delle (dell’) azione amministrativa” (ex multis, tra le più recenti, Cass. SSUU n. 40549/2021 del 17 dicembre 2021; Cass. SSUU n. 15979/2022 del 18 maggio 2022). Infatti, anche alla luce di quanto sopra enunciato, se a transigere è “un soggetto pubblico … i parametri valutativi sono decisamente più ristretti e maggiormente, se non quasi esclusivamente, ancorati a risparmi di spesa (sia gestionali che per contenziosi), a tutela delle casse pubbliche e della collettività che vi contribuisce finanziariamente. Un ente pubblico non gode dunque di un arbitrio transattivo, riconoscibile ad un privato, ma deve pur sempre avere come parametro l’equilibrio di bilancio che impone una attenta e oculata valutazione delle poste in transazione…”. Ciò in considerazione nel necessario rispetto di regole che si pongono a presidio di “garanzie costituzionali di buon andamento e di integrità delle finanze pubbliche che esprimono tutela finale dei diritti dei contribuenti e dei cittadini tutti (art. 97 cost.)” (Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Lombardia sentenza n. 196/2019 e Corte dei conti, Sezione Controllo Lombardia Parere n. /65 /2020/PAR).
Pertanto, nel convenire reciproche concessioni su una controversia complessa o avente ad oggetto somme cospicue di denaro pubblico, è ragionevole una transazione che abbia ponderato in maniera approfondita gli interessi in gioco, che sia stata preceduta da una diligente istruttoria procedimentale, dal parere favorevole degli organi interni in ordine alla copertura finanziaria dell’operazione, nonché dal parere dell’avvocatura interna all’amministrazione.
Nel caso di specie, essa è stata comunque preceduta dall’acquisizione di un parere dell’avvocato esterno cui l’amministrazione si è diligentemente rivolta.
Traendo comunque delle preliminari conclusioni, alla luce dei principi giurisprudenziali espressi, e ,per quel che è qui d’interesse, si può affermare che il sindacato giurisdizionale sugli accordi transattivi delle pubbliche amministrazioni deve essere contenuto nei limiti della rispondenza delle transazioni medesime a criteri di razionalità, congruità e prudente apprezzamento, nonché all’idoneità dell’accordo transattivo a conseguire un risparmio di spesa.
3. La prescrizione del credito.
La questione concretamente oggetto di scrutinio da parte della Sezione concerne l’ammissibilità di una transazione relativa a una pretesa relativa a un diritto, il quale, una volta decorso infruttuosamente il termine fissato dalla legge, non potrà più essere fatto valere. La ratio dell’istituto della prescrizione è stata ravvisata ora nell’interesse pubblico alla certezza del diritto, ora nella volontà di sanzionare l’inerzia del titolare del diritto, ora nella presunzione di carenza di interesse del titolare che per un tempo considerevole non invoca la tutela concessagli dall’ordinamento, ovvero nella sussistenza di un’ipotesi di risoluzione di conflitti tra titolari di situazioni giuridiche per cui si estingue il diritto che limita l’attività di un altro soggetto. In tale ottica si spiega perché: 1) tutti i diritti sono soggetti a prescrizione tranne quelli indisponibili, i quali vivono fuori da un rapporto con altri soggetti o con altre situazioni; 2) la prescrizione può essere fatta valere solo dall’interessato, che può rinunciare alla stessa successivamente; 3) la prescrizione non può essere rilevata d’ufficio dal giudice.
Al di là della opzione interpretativa espressa talora in favore della dimensione processuale ovvero sostanziale dell’istituto della prescrizione, informata in ogni caso a «finalità di ordine pubblico” (relazione del Guardasigilli), se pure è vero che «non è ammessa la ripetizione di ciò che è stato spontaneamente pagato in adempimento di un debito prescritto» (art 2934 cc), nondimeno gli artt. 2934 c.c. e ss pongono una serie di condizioni, positive e negative, per l’operatività dell’istituto, così compendiabili :
1) non deve essere intervenuto «il riconoscimento del diritto» in corso di rapporto da parte del debitore, ex art. 2944 cc.;
2) non deve essere intervenuta la rinuncia alla prescrizione da parte del debitore dopo il suo compimento, ex art. 2937 cc.;
3) non deve essere intervenuto il pagamento spontaneo del debito prescritto, ex art. 2940 cc.;
4) deve essere intervenuta la vittoriosa proposizione dell’eccezione da parte del debitore, all’esito dell’eventuale instaurazione del processo, ex art. 2938 cc., non potendo il giudice rilevarla d’ufficio;
5) deve essere intervenuta la vittoriosa proposizione (in caso di inerzia del debitore) dell’eccezione di prescrizione da parte dei terzi interessati ex art. 2939 cc.;
6) non deve essere intervenuto l’adempimento spontaneo da parte dell’(ormai ex) debitore successivamente al formarsi del giudicato che abbia accertato l’intervenuta prescrizione.
4. La compensazione di un debito prescritto.
Quest’ultimo profilo ha effetti anche per la disciplina della compensazione (la quale si verifica quando due soggetti, allo stesso tempo creditore e debitore l’uno dell’altro, sono obbligati reciprocamente in forza di rapporti diversi, e dove ragioni di economicità, di equità e di interesse pubblico giustificano la compensazione delle opposte pretese, anziché un doppio adempimento produttivo degli stessi risultati), dal momento che, se è vero che essa estingue ope legis i debiti contrapposti in base alla circostanza oggettiva e dal giorno della loro coesistenza ed ipso iure a mente dell’ art. 1242 cc, così da attribuire alla relativa pronuncia del giudice carattere semplicemente dichiarativo e, quindi, intrinsecamente retroattivo – nondimeno il giudice non può d’ufficio dichiarare la compensazione stessa, esigendo dalla parte una manifestazione di volontà diretta a giovarsi dell’effetto estintivo già verificatosi ope legis (Cass. civ. sez. I, 4 maggio 1981, n. 2705).
Orbene, se a norma dell’art. 1242, secondo comma, c.c. la prescrizione di uno dei due crediti non impedisce di eccepire la compensazione se la prescrizione non era compiuta quando si è verificata la coesistenza dei due debiti, la regola generale ivi contenuta postula la prevalenza del diritto alla compensazione rispetto alla prescrizione qualora il relativo termine non sia spirato nell’arco temporale di coesistenza dei crediti e dei debiti, e si fonda sul principio di ragionevolezza e di buona fede nella disciplina dei rapporti negoziali, rappresentando una declinazione di quello generale, secondo il quale quando due soggetti sono obbligati l’uno verso l’altro, i due debiti si estinguono per le quantità corrispondenti (cfr. art. 1241 c.c.).
Naturalmente, se la prescrizione non è opposta, come detto, il giudice non potrà rilevarla d’ufficio; e potrà procedere alla liquidazione giudiziale del credito prescritto, a cui consegue la produzione non retroattiva di quell’effetto estintivo che è caratteristico della compensazione.
5. I principi predicabili nel caso specifico.
Alla luce di questi principi, è possibile operare lo scrutinio della fattispecie concretamente sottoposta alla Sezione. Va premesso – alla luce dei parametri del giudizio intestato alla Corte dei conti, fondati sulla centralità del bene bilancio (Corte cost. sent. n. 184/2016) e sulla necessaria cura e tutela dell’equilibrio dello stesso (Corte cost. sent. n. 247/2017), compendiati nella previsione dell’art. 148-bis del TUEL – che “un ente pubblico e una società in house non godono di un arbitrio transattivo, riconoscibile ad un privato, ma devono pur sempre avere come parametro l’equilibrio di bilancio che impone una attenta e oculata valutazione delle poste in transazione” (Corte conti, Sez. giur. reg. Lombardia, 19 luglio 2019, n. 196).
5.1. La carenza del profilo motivazionale sotto il profilo della convenienza economica alla conclusione di una transazione.
In primo luogo, nella fattispecie, non è in alcun modo ricavabile dal testo della delibera la indefettibile convenienza economica che deve caratterizzare la stipula della transazione. La scelta di un ente pubblico di addivenire ad una transazione deve essere riconducibile ai canoni di razionalità, convenienza, logica e correttezza gestionale, avendo sempre riguardo ad una imprescindibile valutazione della “cura concreta di interessi pubblici”, che ne costituisce la causa in concreto.
Se, come sottolineato, la verifica della legittimità dell’attività amministrativa non può più ormai prescindere da una valutazione del rapporto tra gli obiettivi conseguiti e spese sostenute, la violazione dei criteri di economicità e di efficacia assume specifico rilievo nel giudizio di responsabilità, considerato che l’antigiuridicità dell’atto amministrativo ed in generale dei comportamenti dei soggetti sottoposti al giudizio della Corte dei conti, costituisce presupposto necessario (ancorché non sufficiente) della “colpevolezza” di colui che lo ha posto in essere (Corte conti, Sez. II giur. centr., 27 novembre 1997, n. 230).
La generale capacità di agire contemplata dall’art. 11 cc in capo agli enti pubblici implica pertanto la doverosa funzionalizzazione dell’attività privatistica agli scopi di buon andamento, imparzialità e legalità che l’art. 97 assegna alle Pubbliche amministrazioni.
La predetta funzionalizzazione dell’attività dell’ente rispetto alle finalità istituzionali contemplate dalla Carta costituzionale è il vero centro di gravità sistematico e unitario che postula l’utilizzo legittimo degli strumenti negoziali solo se e nella misura in cui venga dimostrato in modo analitico che essi sono necessari e convenienti per il corretto perseguimento delle proprie finalità istituzionali pubbliche.
Nella fattispecie, “uno degli elementi che l’ente deve considerare è la convenienza economica della transazione in relazione all’incertezza del giudizio” (Corte conti, Sez. contr. reg. Lombardia, n. 26/2008), che tuttavia non trova alcuna esplicazione, nella fattispecie allo scrutinio della Sezione, limitandosi a una valutazione meramente aritmetica di reciproche pretese che sembrano tra l’altro prive di quell’indispensabile requisito della res dubia (Cfr. Corte conti, Sez. giur. reg. Toscana, 16 aprile 2018, n. 92). La insussistenza dell‘interesse pubblico sembra dimostrata non solo dalla assenza del requisito della reciproca concessione o dell’intento di prevenire la lite (attesa la non azionabilità della pretesa), ma anche dal fatto che l’atto rinviene una motivazione assolutamente apodittica nella affermata sussistenza dei presupposti, senza disvelare l’oscurità di un comportamento silente protratto per oltre un decennio di cui non è conseguentemente chiara la sussistenza dell’incertezza. Del resto, se è vero che l’art. 1965 del codice civile sembra aprire alla possibilità che la transazione abbia ad oggetto anche liti non ancora insorte (nella parte in cui si riferisce anche a una funzione di prevenzione di una lite che può sorgere tra le parti), è altresì vero che la dottrina e la giurisprudenza prevalenti hanno fornito una lettura riduttiva di tale apertura, circoscrivendola a liti comunque già sussistenti al livello stragiudiziale o, quanto meno, già emerse, ancorché a livello di mera contestazione, con esclusione della possibilità di transigere liti puramente ipotetiche e del tutto indeterminate nei contenuti, pena la stessa determinabilità dell’oggetto della transazione.
In tal senso la Cassazione (Cass. civile, Sez. I, 17 ottobre 2019, n. 26528) ha in più occasioni chiarito che “in tema di transazione, le reciproche concessioni alle quali fa riferimento l’art. 1965 c.c., comma 1, possono riguardare anche liti future non ancora instaurate ed eventuali danni non ancora manifestatisi, purché questi ultimi siano ragionevolmente prevedibili; (Cass. s.u. 8053/2014, Cass. 12320/2005, 2633/1982)”, nel cui perimetro non sembra essere ricompreso il credito prescritto. La transazione è infatti ricostruita in dottrina come negozio a efficacia tipicamente preclusiva, che incide direttamente sui rapporti giuridici sostanziali, precludendo l’azione mercé la exceptio litis per transactionem finitae, analoga alla eccezione di giudicato (Consiglio di Stato, Adunanza Sezione I, 20/11/2020 n. 1908).
5.2. La responsabilità da mancato tempestivo esercizio del diritto di credito.
In secondo luogo, rileva per lo scrutinio della fattispecie come la anzidetta inspiegabile, prolungata inerzia dell’ente locale fino al verificarsi del compimento del periodo prescrizionale non può e non deve costituire valido motivo per addivenire alla stipula di un accordo transattivo, una volta che sia spirato tale termine. Una volta premesso che il danno da lesione dell’interesse dell’ente locale al mantenimento degli equilibri di bilancio e delle previsioni di entrata, al fine di evitare scompensi sul piano economico finanziario, è configurabile, sulla scorta della giurisprudenza contabile, come danno pubblico, inteso come pregiudizio a beni ed interessi che appartengono alla collettività e sono assunti dallo Stato- ordinamento come propri (cfr. SS.RR. n. 659/1990), l’interesse al conseguimento del previsto equilibrio nella utilizzazione delle risorse o quello al rispetto dell’ordine di priorità delle varie spese stabilito dalle previsioni di bilancio possono essere alterati per effetto della sopravvenuta assenza di entrate causata dell’omesso esercizio del diritto di credito quando non si era ancora verificata la prescrizione di esso (Corte dei conti ,Sezione giurisdizionale Piemonte, Sentenza n. 190/2021).
5.3. La responsabilità da transazione di un debito prescritto.
In terzo luogo, la rilevata assenza di una valida causa del negozio abdicativo, dovuta alla tardiva emersione di crediti e debiti oramai prescritti, senza che vi sia stato il tempestivo esercizio di essi, integra gli estremi di una responsabilità erariale di “una transazione che abbia ad oggetto, a titolo esemplificativo, una pretesa, nei confronti di una Pubblica amministrazione, manifestamente infondata, oppure una transazione riguardante un credito prescritto o, ancora, una transazione caratterizzata da condizioni manifestamente svantaggiose per l’Amministrazione” (Corte dei conti, Sez. Lombardia, par n. 65/2020). Se la transazione si caratterizza, almeno in linea generale, per la presenza di una res dubia e di un sacrificio economico bilaterale, deve essere riconosciuta la responsabilità per la stipulazione di transazioni che, in realtà, comportano rinunce a delle spettanze pacificamente acclarate dell’ente o che dovevano essere realizzate entro i termini stabiliti dall’ordinamento, non effettuate per l’inerzia della amministrazione e che si concretizzano, quindi, in una parziale remissione del debito, generando quindi una responsabilità per colpa grave a carico dell’ente che ha semplicemente evitato di acquisire quei crediti certi, liquidi ed esigibili.
Come emerge dalla documentazione istruttoria, l’Ente nella nota prot. n. 5754 dell’8 marzo 2022 aveva, anteriormente all’atto di transazione adottato con la citata delibera di Giunta, precisato che il debito non è dovuto, in quanto in bilancio non è mai stato assunto nessun impegno di spesa al riguardo. Orbene, nella fattispecie all’esame della Sezione, vengono a mancare- anche sotto il profilo soggettivo- gli stessi presupposti necessari per poter procedere ad una valida transazione da parte dell’Ente. Lo scrutinio cui conducono le risultanze istruttorie esclude che la dedotta obbligazione ,oggetto del negozio rinunciativo, faccia capo all’ente stesso, o che l’ente vi sia in alcun modo parte, dal momento che l’art. 191 del TUEL prevede che, nel caso in cui vi è stata l’acquisizione di beni e servizi in violazione dell’obbligo indicato nei commi 1, 2 e 3, il rapporto obbligatorio intercorre, ai fini della controprestazione e per la parte non riconoscibile ai sensi dell’articolo 194, comma 1, lettera e), tra il privato fornitore e l’amministratore, funzionario o dipendente che hanno consentito la fornitura. Per le esecuzioni reiterate o continuative detto effetto si estende a coloro che hanno reso possibili le singole prestazioni. La disposizione richiede, inoltre, la comunicazione al terzo dell’avvenuto impegno e della relativa copertura finanziaria, riguardanti le somministrazioni, le forniture e le prestazioni professionali. L’avvenuta registrazione dell’impegno contabile sul competente programma del bilancio di previsione e l’attestazione della copertura finanziaria di cui all’articolo 153, comma 5, del TUEL, nonché la comunicazione dell’avvenuto impegno di spesa e della relativa copertura finanziaria, riguardanti le somministrazioni, le forniture e le prestazioni professionali, rappresentano, quindi, vere e proprie condizioni di imputabilità all’amministrazione dell’obbligazione, in assenza delle quali (e quindi in violazione dell’obbligo indicato nei commi 1, 2 e 3), il rapporto obbligatorio intercorre, ai fini della controprestazione e per la parte non riconoscibile ai sensi dell’articolo 194, comma 1, lettera e), tra il privato fornitore e l’amministratore, funzionario o dipendente che hanno consentito la fornitura.
L’obbligazione, venuta comunque ad esistenza in assenza di dette condizioni di imputabilità all’amministrazione, intercorre tra il terzo e il funzionario: nei confronti dei terzi si ha, pertanto – in caso di fornitura richiesta al di fuori della procedura prescritta nell’art. 191 del TUEL – una rottura del rapporto di immedesimazione organica, con ciò escludendo un rapporto diretto di rivalsa del privato direttamente verso l’ente, in quanto la strutturazione della fattispecie è volta a consentire solo il recupero dell’indennizzo da parte del privato verso il funzionario. E a ciò consegue che gli atti di acquisizione di beni e servizi effettuati in modo illegittimo non sono riconducibili alla sfera giuridica dell’ente locale.
Conclusioni.
Si deve concludere al riguardo, quindi, che, alla luce delle surriferite acquisizioni istruttorie, la avvenuta formalizzazione nella fattispecie di un atto transattivo adottato in assenza dei presupposti stabiliti dalla normativa vigente, nonché della osservanza dei principi di logica e dei motivi economici d’interesse pubblico, per le ragioni sopra esplicitate, palesa la noncuranza e la trascuratezza mostrata dalla p.a. nella salvaguardia delle risorse finanziarie dell’ente e quindi del bene bilancio . Di ciò deve essere data notizia alla Procura per gli adempimenti di conseguenza, ai fini e per gli effetti di cui all’art. 52, comma 4 , del c.g.c.
La Sezione Regionale di Controllo per l’Emilia-Romagna, nel concludere l’esame sulla documentazione del Comune di Crevalcore (BO):
− accerta l’illegittima adozione, per i motivi più sopra indicati, dell’atto di transazione adottato con deliberazione di Giunta comunale n. 133 del 3 novembre 2022;
− trasmette gli atti alla Procura della Corte dei conti per il seguito di competenza;
– rammenta l’obbligo di pubblicazione della presente pronuncia ai sensi dell’art. 31 del D. lgs. 14 marzo 2013, n. 33