Corte di Cassazione, sentenza n. 1895 del 18 gennaio 2024
X era stato nominato Direttore sanitario dell’ASS con un contratto della durata di cinque anni e di avere svolto le relative funzioni dal 17 maggio 2010 finché, con lettera del 2 dicembre 2013, l’Azienda gli aveva comunicato la cessazione del contratto ai sensi dell’art. 7, capoverso 4, del medesimo contratto, il quale prevedeva che, in ipotesi di nomina di nuovo Direttore generale, il rapporto si sarebbe sciolto.
La S.C. ha chiarito, con riferimento alla figura del Direttore amministrativo, ma il principio può essere esteso anche alla figura del Direttore sanitario, che, ai sensi dell’art. 3 bis del d.lgs. n. 502 del 1992 e dell’art. 2 del d.P.C.M. n. 502 del 1995, come modificato dal d.P.C.M. n. 319 del 2001, il contratto di lavoro del Direttore amministrativo dell’ASL, avente durata non inferiore a tre e non superiore a cinque anni, è regolato dal diritto privato e soggiace, in mancanza di una specifica disciplina regionale sulle cause di risoluzione del rapporto, alle norme, imperative e non derogabili dalla volontà negoziale delle parti, del titolo terzo del libro quinto del codice civile, sicché, in mancanza di giusta causa ex art. 2119 c.c., il rapporto di lavoro non può risolversi anticipatamente rispetto al periodo minimo triennale, dovendosi ritenere nulla la clausola che consenta il recesso ad nutum- con contestuale decadenza dall’incarico – per il venire meno del rapporto fiduciario tra direttore generale e direttore amministrativo e a quest’ultimo, in applicazione della disciplina propria del recesso per giusta causa derivante da inadempimento, spetta, in tale evenienza, l’integrale risarcimento del danno e non solamente il mero rimborso delle spese sostenute e il compenso per l’opera fino a quel momento prestata ai sensi dell’art. 2237 c.c.(Cass., Sez. L, n.14349 del 9 luglio 2015).
D’altronde, deve tenersi conto che l’art. 3 bis del d.lgs. n. 502 del 1992 prevede, nel testo ratione temporis applicabile, che “ La stessa Corte costituzionale ha affermato con varie decisioni l’incompatibilità con l’art. 97 Cost. di disposizioni di legge, statali o regionali, che prevedono meccanismi di revocabilità ad nutum o di decadenza automatica dalla carica, dovuti a cause estranee alle vicende del rapporto instaurato con il titolare e non correlati a valutazioni concernenti i risultati conseguiti da quest’ultimo nel quadro di adeguate garanzie procedimentali (sentenze n. 52 del 2017, n. 15 del 2017, n. 20 del 2016, n. 104 e n. 103 del 2007), quando tali meccanismi siano riferiti non al personale addetto agli uffici di diretta collaborazione con l’organo di governo (sentenza n. 304 del 2010) oppure a figure apicali, per le quali risulti decisiva la personale adesione agli orientamenti politici dell’organo nominante, ma a titolari di incarichi dirigenziali che comportino l’esercizio di funzioni tecniche di attuazione dell’indirizzo politico (sentenze n. 269 del 2016, n. 246 del 2011, n. 81 del 2010 e n. 161 del 2008). In particolare, la sentenza n. 224 del 2010 della Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 15, comma 6, della legge della Regione Lazio n. 18 del 1994 (Disposizioni per il riordino del servizio sanitario regionale ai sensi del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni e integrazioni. Istituzione delle aziende unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere), il quale prevedeva che «il direttore amministrativo e il direttore sanitario cessano dall’incarico entro tre mesi dalla data di nomina del nuovo direttore generale e possono essere riconfermati».
Più di recente, la Corte costituzionale, con sentenza n. 26 del 2023 , ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 15, comma 5, secondo periodo, della legge della Regione Calabria n. 11 del 2004 (Piano Regionale per la Salute 2004/2006), la quale stabiliva che gli incarichi di direttore sanitario e di direttore amministrativo delle aziende del servizio sanitario regionale «hanno comunque termine ed i relativi rapporti di lavoro sono risolti di diritto, nell’ipotesi di cessazione, per revoca, decadenza, dimissioni o qualsiasi altra causa, del direttore generale». Ciò sempre per violazione dell’art. 97, comma 2, Cost., in relazione al principio di buon andamento dell’azione amministrativa.