TAR Lazio, sentenza n. 6839 del 9 aprile 2024
Parte ricorrente impugna il decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze dell’11 marzo 2022, n. 55 (di seguito anche solo DM 55/2022), ove stabilisce che “I dati e le informazioni sulla titolarità effettiva dei trust e degli istituti giuridici affini al trust tenuti all’iscrizione nella sezione speciale […] sono resi disponibili a qualunque persona fisica o giuridica, ivi compresa quella portatrice di interessi diffusi, che sia legittimata all’accesso ai sensi dell’articolo 21, comma 4, lettera d-bis), primo e secondo periodo, del decreto antiriciclaggio, sulla base della presentazione alla Camera di commercio territorialmente competente di una richiesta motivata di accesso, che attesti la sussistenza dei presupposti di cui alla medesima lettera d-bis), primo e secondo periodo”
Il ricorso è infondato.
Parte ricorrente evidenzia che l’art. 7, comma 2, del DM MEF n. 55/2022 sarebbe illegittimo in via derivata per effetto dell’illegittimità costituzionale dell’art. 21, comma 4, lett. d-bis) del d.lgs. n. 231/2007, per contrasto con i principi espressi dalla sentenza della Grande Sezione della Corte di Giustizia dell’Unione europea, del 22 novembre 2022, pronunciata nelle cause C-97/20; C-601/20, WM e Sovim SA c. Luxembourg Business Registers. Detta pronuncia, nell’affermare che l’articolo 30, paragrafo 5, primo comma, lettera c), della IV Direttiva antiriciclaggio ove prevede un accesso in ogni caso al pubblico sulle informazioni sulla titolarità effettiva non rappresenti una misura “strettamente necessaria per prevenire il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo” impedirebbe agli ordinamenti nazionali di prevedere forme di accesso al pubblico al registro dei titolari effettivi.
Non sussiste la dedotta violazione. La Corte di Giustizia, difatti, non ha affermato l’illegittimità di qualsiasi forma di accesso al pubblico al registro dei titolari effettivi, ma si è limitata a dichiarare invalida la previsione di cui all’articolo 1, paragrafo 15, lettera c), della V Direttiva antiriciclaggio nella parte in cui detta norma ha modificato l’articolo 30, paragrafo 5, primo comma, lettera c), della IV Direttiva antiriciclaggio, eliminando il riferimento al legittimo interesse quale presupposto dell’accesso al pubblico.
La pronuncia della Corte, dunque, nel dichiarare invalida la richiamata previsione, ha determinato la “reviviscenza” nel diritto unionale di quanto originariamente previsto dalla IV Direttiva antiriciclaggio, che limitava l’accesso alle informazioni sulla titolarità effettiva, oltre che alle autorità competenti e ai soggetti obbligati, “a qualunque persona od organizzazione che possa dimostrare un legittimo interesse”.
Che la Corte abbia inteso censurare il regime sull’accesso introdotto dalla direttiva del 2018/843 e (per brevità di seguito anche solo “nuovo regime”) e non anche la precedente versione dell’articolo 30, oltreché dal contenuto della richiesta di rinvio, è confermato dal punto 85 della richiamata sentenza ove si afferma che: “rispetto a un regime come quello dell’articolo 30, paragrafo 5, della direttiva 2015/849 nella versione precedente all’entrata in vigore della direttiva 2018/843, che prevedeva, oltre all’accesso da parte delle autorità competenti e di determinate entità, quello da parte di qualunque persona od organizzazione che potesse dimostrare un legittimo interesse, il regime introdotto da quest’ultima direttiva, che prevede l’accesso del pubblico alle informazioni sulla titolarità effettiva, rappresenta una lesione considerevolmente più grave dei diritti fondamentali garantiti dagli articoli 7 e 8 della Carta, senza che tale aggravamento sia compensato dagli eventuali benefici che potrebbero derivare da quest’ultimo regime rispetto al primo, sotto il profilo della lotta contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo”.
A ben vedere, quindi, ciò che la Corte ritiene non conforme al principio di proporzionalità è che venga consentito l’accesso “in ogni caso al pubblico” come è previsto dal “nuovo regime”; nessuna obiezione, invece, nemmeno incidenter tantum, viene mossa nei confronti del “vecchio regime” (ripristinato dalla pronuncia in questione), ove l’accesso al pubblico alle informazioni sulla titolarità effettiva è subordinato alla ricorrenza di un “interesse legittimo”.
A prescindere da quanto appena osservato in ordine reviviscenza delle previsioni di cui all’articolo 30, comma 5, della direttiva UE 849/2015, occorre rimarcare che tale disposizione si riferisce, genericamente, alle “società” e alle altre “entità giuridiche”, mentre la norma che disciplina specificamente i trust e gli istituti giuridici ad essi affini, è l’articolo 31 della direttiva UE 2015/849, il quale, al comma 4, prevede, anche a seguito delle modifiche operate dalla direttiva del 2018, che l’accesso è consentito “c) a qualunque persona fisica o giuridica che possa dimostrare un legittimo interesse”.
Alla luce di quanto precede deve concludersi che, stante il quadro normativo sovranazionale, sia senz’altro consentito l’accesso alle informazioni sulla titolarità effettiva di un trust o di un istituto giuridico affine a chiunque possa dimostrare un “legittimo interesse”.