Consiglio di Stato, sentenza n 4337 del 15 maggio 2024
Le Regioni, da un lato, sono state onerate della predisposizione del programma operativo per la gestione dell’emergenza con possibilità di stipula di contratti ex art. 8-quinquies d.lgs. 502/1992 per l’acquisto di ulteriori prestazioni, anche in deroga ai limiti di spesa, dall’altra, sono state facoltizzate al riconoscimento di una “remunerazione di una specifica funzione assistenziale per i maggiori costi correlati all’allestimento dei reparti e alla gestione dell’emergenza COVID 19 secondo le disposizioni dei predetti piani e un incremento tariffario per le attività rese a pazienti affetti da COVID-19”.
Il tenore testuale della norma è adamantino e non può essere revocato in dubbio: le Regioni “possono riconoscere” e non già “riconoscono”, sicché la norma attributiva di questo potere di matrice squisitamente emergenziale – di lì si spiega anche l’eccezionale deroga ai limiti di spesa e l’inclusione delle Regioni incluse nei piani di rientro – lo conforma nel senso della piena discrezionalità da esercitarsi alla luce di tutte le circostanze del caso concreto.
Sia l’accordo, sia la delibera approvativa rinviavano per relationem al disposto dell’ordinanza n. 104 del 2020 la quale prevedeva espressamente che “a fronte della messa a disposizione, la struttura interessata sia ristorata in base a quanto disposto dall’art. 6, comma 4 del Decreto Legge n. 18/2020 con la corresponsione di equo indennizzo, o attraverso la stipula di contratti ai sensi dei commi 1 e 2 dell’art. 3 del medesimo Decreto Legge”: orbene, la modalità di ristoro seguita nel caso di specie dalla Regione Toscana e dall’AUSL Toscana Centro è consistita appunto nella contrattualizzazione a norma dell’art. 3 del D.L. 18/2020 secondo le tariffe vigenti e con carattere di onnicomprensività del profilo di trattamento mediamente associato alla corrispondente categoria di ricoveri (cfr. art. 4 contratto).
In definitiva, dalla disamina complessiva degli atti susseguitisi nella concitata stagione pandemica emerge che la Regione Toscana non ha inteso esercitare la facoltà, del tutto discrezionale – lo si ribadisce -, di riconoscere la remunerazione di una specifica funzione assistenziale per i maggiori costi correlati all’allestimento dei reparti e alla gestione dell’emergenza COVID 19 o gli invocati incrementi tariffari, né dagli atti contrattuali e provvedimentali si rinviene traccia di determinazioni di segno difforme, come invece opinato dalla difesa dell’appellante. La ratio di tale scelta riposa su valutazioni di evidente carattere finanziario, ben esplicitate nella nota con cui l’Amministrazione regionale ha, infine, riscontrato le istanze dell’Istituto: la Regione ha, infatti, dovuto tenere in debita considerazione la complicata situazione economico-finanziaria del Servizio sanitario Regionale, il cui conto economico consolidato evidenziava una perdita d’esercizio rilevante sia al 4° trimestre 2020 che al 4° trimestre 2021, sicché non sussistevano margini per riconoscere le invocate maggiorazioni, né agli enti facenti parte del servizio sanitario pubblico, né alle strutture private come è appunto l’Istituto Fiorentino di Cura ed Assistenza.