Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Lombardia, sentenza n. 97 del 27 maggio 2024
La Procura regionale ha citato in giudizio il sig. X, collaboratore scolastico in vari Istituti scolastici all’epoca dei fatti, chiarendo che, a seguito della segnalazione del Dirigente Scolastico dell’Istituto Superiore Statale Y e della segnalazione del Dirigente dell’Ufficio Scolastico Regionale, era emerso che il convenuto aveva ottenuto mediante false dichiarazioni sia incarichi di supplenza presso diversi Istituti Scolastici, sia l’immissione nei ruoli del personale scolastico, percependo conseguentemente un indebito trattamento economico connesso allo svolgimento delle prestazioni del profilo professionale di collaboratore scolastico.
L’attrice Procura, non potendosi valutare i vantaggi derivanti dall’espletamento delle mansioni svolte in assenza di idoneo titolo e in presenza di contratti nulli sulla scorta della giurisprudenza di questa Corte, e ritenendo inidonee ad escludere l’ipotizzato danno erariale le deduzioni inviate dalla difesa del convenuto in riscontro al rituale invito, ha chiesto la condanna del convenuto al pagamento in favore del Ministero dell’Istruzione e del Merito del suddetto importo di euro 44.256,09,
Il Collegio, invece, con pronuncia sicuramente innovativa, ha stabilito quanto segue.
A prescindere da un auspicabile futuro coraggioso ripensamento dell’indirizzo prevalente di questa Corte dei conti in materia sulla scorta dei suprariferiti argomenti sistemici e giurisprudenziali, in ogni caso, nella specifica fattispecie in esame, anche a voler ritenere operante sul piano generale il più rigoroso orientamento giuscontabile ostativo alla valutazione economica delle prestazioni di fatto, lo stesso non appare in concreto applicabile per i peculiari motivi infraprecisati.
Come sopra ricordato, l’indirizzo ostativo al riconoscimento dei vantaggi resi a seguito di una prestazione lavorativa “di fatto” a favore della PA da parte di un soggetto privo del prescritto titolo di studio argomenta sulla assenza del titolo prescritto, espressiva della incapacità all’espletamento “utile” della prestazione professionale da svolgere, capacità conseguibile solo e soltanto con regolare percorso di studi che portino al titolo abilitante alle mansioni da svolgere.
Ma nel caso in esame il sig. X aveva in realtà conseguito un titolo idoneo a concorrere sia alle supplenze che all’incarico stabile e non apicale di collaboratore scolastico. Difatti, lo stesso aveva conseguito il diploma di “congegnatore meccanico” conseguito presso l’IPSIA con votazione 60/100, titolo la cui esistenza non è stata mesa in discussione, e soprattutto non smentita come suo onere probatorio, dalla attrice Procura.
Pertanto, anche se è innegabile che un titolo con votazione più bassa (60/100 del titolo veritiero predetto, invece dei 100/100 dichiarati sulla base di altro titolo falso) non avrebbe forse consentito allo X di entrare in graduatoria ed ottenere prima le supplenze e poi lo stabile rapporto lavorativo di collaboratore, tuttavia l’oggettivo conseguimento di un titolo, astrattamente e concretamente, idoneo a svolgere le mansioni minimali di collaboratore amministrativo (che, secondo il CCNL di Comparto, si traducono in mera accoglienza e vigilanza generica degli alunni e pulizia dei locali) portano il Collegio a valutare come utili le mansioni svolte dal convenuto nelle Istituzioni scolastiche ove ha lavorato. Né parte attrice, né la PA datrice di lavoro hanno del resto dato prova, come loro onere, del mancato o minor vantaggio derivante dalla prestazione resa dal convenuto.
In altre parole, ferma restando la valenza penale, disciplinare e civile (per evidenti danni arrecati ai soggetti scavalcati e pretermessi dalle supplenze e dagli incarichi sulla base di titolo falso del convenuto) della condotta mendace dello X, sotto il diverso profilo amministrativo-contabile, l’aver conseguito un titolo idoneo comunque alle mansioni minimali proficuamente svolte presso il Ministero dell’Istruzione e del Merito, rendono ben considerabili come “vantaggio” reso alla PA ed alla comunità amministrata ex art.1, co. l-bis, n.20/1994 le mansioni svolte dal convenuto e rendono quindi leciti ex art.2126 c.c. e non forieri di danno erariale gli esborsi stipendiali a favore dello Zelante. Del resto, anche in qualche risalente precedente di questa Corte (C.conti, sez.giur.Basilicata, 2.2.2005 n.14) si è correttamente affermato che va ravvisato danno ingiusto risarcibile a titolo di dolo nel comportamento del dipendente di una Asl che abbia conseguito l’impiego producendo falsi documenti, commisurato sia agli stipendi non dovuti che ai compensi per incarichi e missioni, potendosi invocare la “compensatio lucri cum damno” nei soli limiti delle retribuzioni riferibili allo svolgimento di mansioni lavorative generiche e suscettibili di essere svolte a prescindere dal possesso del titolo di studio falsamente presentato.
Tale innovativo approdo interpretativo cui perviene questa Sezione, giova ricordarlo, vale ovviamente per il peculiare caso in esame, connotato da mansioni non complesse e ben espletabili con il titolo di “congegnatore meccanico” conseguito presso l’IPSIA di Vimercate nell’a.s. 1993/94 con votazione 60/100, titolo che avrebbe comunque consentito allo X di concorrere a supplenze ed alla assunzione a tempo indeterminato: invece in altre evenienze connotate da assoluta mancanza del titolo o dal possesso di altro titolo “reale” diverso da quello “falso” prodotto per ottenere un pubblico impiego, dovrà comunque valutarsi da parte di questa Corte: a) la piena fungibilità dei titoli in relazione alla tipologia di incarico svolto (tale fungibilità è difatti di più difficile ipotizzabilità a fronte di prestazioni altamente specialistiche: es. sanitarie o tecniche); b) se la totale assenza o la minor qualità (es. nel voto di laurea o nel curriculum) del titolo realmente conseguito rispetto a quello falso dichiarato porti ad un vantaggio o ad un vantaggio “minore” a favore della PA o della comunità amministrata rispetto alla erogazione stipendiale riconosciuta per quella qualifica, con conseguente scomputo della differenza da qualificare come danno erariale.
Ma nel caso in esame tali parametri valutativi portano a ritenere che le semplici mansioni di collaboratore amministrativo in una Istituzione scolastica potevano essere svolte adeguatamente e satisfattivamente per la PA sia con un diploma ottenuto con 60/100, sia con un diploma ottenuto con 100/100. E manca, come detto, una prova in atti di una cattiva o inadeguata resa lavorativa del convenuto.
La domanda attorea va dunque respinta.