Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per il Veneto, sentenza n. 84 del 14 giugno 2024
La ricorrente, asserendo di aver svolto nel corso del 2021 attività di lavoro autonomo occasionale, retribuito al di sotto della soglia di € 5.000 e non qualificabile come lavoro dipendente subordinato, lamenta la circostanza che l’INPS stia procedendo illegittimamente al recupero delle somme percepite durante il medesimo anno, a titolo di pensione “quota 100”, in ragione della presunta violazione dell’art. 14, c. 3, del d.l. 4/2019.
Il collegio della Corte dei Conti ha stabilito che la violazione della disposizione in esame, anche alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 234/2022, non può comportare, diversamente da quanto asserito dall’INPS, la decadenza dal diritto a percepire la pensione cd. Quota 100 per l’intero anno 2021, e quindi a prescindere dalla durata dell’attività lavorativa, svoltasi dal 14 giugno al 25 giugno 2021.
Al riguardo, come evidenziato dalla richiamata giurisprudenza di questa Corte, “All’esame del dato testuale, il riferimento alla base annua, effettivamente contenuto nella disposizione contestata, non appare riferirsi ai redditi da lavoro “dipendente” o “autonomo continuativo”, ma unicamente al “lavoro autonomo occasionale con reddito inferiore agli € 5.000,00”. Tale ultima tipologia è l’unica, infatti, tra quelle individuate dalla disposizione, ad avere, per costruzione, necessità di un criterio temporale di riferimento, poiché se ne deve accertare l’ammontare annuale ai fini della verifica di applicabilità dell’esenzione dagli obblighi previdenziali che giustifica anche la deroga al divieto di cumulo tra reddito da pensione e da lavoro, prevista per tale sola categoria (cit. Corte dei conti, Sez. Giur. Toscana, sent. n. 263/2023).
Pertanto, nei casi in cui l’attività di lavoro non cumulabile abbia avuto una durata inferiore all’anno, il regime dell’incumulabilità deve essere applicato esclusivamente al periodo di concomitanza tra la percezione della pensione e l’attività lavorativa svolta, non potendo essere esteso all’intero anno in cui il pensionato ha svolto tale attività.
Al contrario l’INPS, facendo leva sulle proprie circolari (secondo cui “il pagamento della pensione è sospeso nell’anno in cui siano stati percepiti i redditi da lavoro (…), nonché nei mesi dell’anno, precedenti quello di compimento dell’età richiesta per la pensione di vecchiaia, in cui siano stati percepiti i predetti redditi. Pertanto, i ratei di pensione relativi a tali periodi non devono essere corrisposti, ovvero devono essere recuperati ai sensi dell’articolo 2033 c.c. ove già posti in pagamento”) ha ritenuto di applicare il criterio della “base annua” a tutti i redditi da lavoro acquisiti in violazione del divieto di cumulo, anche se la loro percezione risulta conteggiata e/o conteggiabile su base mensile, come avviene per i ratei di pensione.
A fortiori, ad avviso di questo Giudice, la norma di cui all’art. 14, c. 3, cit., deve essere interpretata non soltanto nel rispetto del dettato letterale ma anche del contesto normativo disciplinante la c.d. pensione Quota 100, nell’ambito del quale – rilevando, tra l’altro, l’obiettivo di creare nuova occupazione e favorire il ricambio generazionale, all’interno di un sistema previdenziale sostenibile (cit. Corte cost., 234/2022) – non può trovare spazio una ipotesi di decadenza del trattamento pensionistico per l’intero anno in cui si è svolta l’attività non cumulabile e, quindi, una finalità de facto “sanzionatoria” delle conseguenze derivanti dalla violazione del divieto di cumulo. Alla luce di quanto sopra, ove, come nel caso di specie, l’attività lavorativa non cumulabile abbia avuto durata inferiore all’anno, il divieto di cumulo va applicato ai soli mesi di concomitanza tra pensione e attività lavorativa.