Corte di Cassazione, ordinanza n. 14127 del 21 maggio 2024
Il giudice di legittimità ha già avuto modo di affermare che in tema di pubblico impiego privatizzato, il riconoscimento del diritto a prestazioni cd. “aggiuntive” – ai sensi dell’art. 1 d.l. n. 402 del 2001, conv. con mod. dalla l. n. 1 del 2002, richiamato “ratione temporis” dalla contrattazione collettiva del comparto sanità – è subordinato al ricorrere dei presupposti dell’autorizzazione regionale, della presenza in capo ai lavoratori di requisiti cc.dd. soggettivi e della determinazione tariffaria; tuttavia, pur in mancanza dei menzionati presupposti, l’attività lavorativa oltre il debito orario comporta il diritto al compenso per lavoro straordinario nella misura prevista dalla contrattazione collettiva, purché sussista il consenso datoriale che, comunque espresso, è il solo elemento che condiziona l’applicabilità dell’art. 2126 c.c., in relazione all’art. 2108 c.c., a nulla rilevando il superamento dei limiti e delle regole riguardanti la spesa pubblica che determina, però, la responsabilità dei funzionari verso la P.A. ( si veda in tal senso Cass. n. 18063 del 2023, ma anche le precedenti Cass. n. 15364 del 2023 e Cass. n. 23506 del 2022).
Le affermazioni che precedono sono del resto in linea con la funzione che l’art. 2126 c.c. ha nel nostro ordinamento: risolvere il problema pratico di assicurare – comunque – la retribuzione al lavoratore che abbia prestato la propria attività, pur in presenza di un contratto invalido. In deroga ai principi generali del codice civile in materia contrattuale, l’esecuzione in fatto della prestazione lavorativa comporta, infatti, in ragione della necessaria tutela del prestatore ed in armonia con i principi costituzionali (artt.1, 4, 36), che al prestatore competa comunque il pagamento della retribuzione. Né vi sono ragioni di sorta, come già anticipato, per ritenere l’inapplicabilità del disposto normativo citato al pubblico impiego contrattualizzato.
Conclusivamente, ritiene pertanto il Collegio di affermare il seguente principio di diritto: in presenza di rapporti di somministrazione illegittimi, se il personale somministrato ha partecipato alla realizzazione dei progetti previsti dall’utilizzatore non può essere negata la percezione degli ulteriori elementi aggiuntivi della retribuzione spettanti – a parità di condizioni – al personale dipendente dell’utilizzatore in virtù delle previsioni della contrattazione collettiva, non in applicazione di quest’ultima,stante l’abusività del ricorso alla somministrazione, tuttavia, ma dell’art. 2126 c.c. 8.9.1. Va quindi affermato che in caso di illegittimità dei rapporti di somministrazione, ai lavoratori somministrati, competono anche gli ulteriori emolumenti retributivi previsti dalla contrattazione collettiva in favore dei dipendenti dell’utilizzatore (a parità di svolgimento di mansioni e di raggiungimento degli obiettivi), non ai sensi dell’art. 23, commi 1 e 4, del d.lgs. n. 276 del 2003 e della normativa contrattuale di riferimento, quanto piuttosto in applicazione della norma di chiusura di cui all’art. 2126 c.c.