Su convenzione e affidamento a enti del terzo settore il Consiglio di Stato ribadisce: gratuità significa semplice rimborso spese (escluse quelle del personale)

Consiglio di Stato, sentenza n. 4540 del 22 maggio 2024

La questione si trasferisce sul piano della definizione giuridica del concetto di gratuità, ossia di uno degli elementi costitutivi della possibilità di utilizzare le procedure di affidamento disciplinate dal codice de terzo settore e di sottrarsi, quindi, all’applicazione delle norme unionali in materia di appalti pubblici e al codice dei contratti che di quelle costituiscono recepimento.

In tale prospettiva, il concetto di gratuità si identifica nel conseguimento di un aumento patrimoniale da parte della collettività, cui corrisponde la diminuzione patrimoniale di altro soggetto, ossia il prestatore del servizio.

Sotto questo profilo, si precisa, “la effettiva gratuità si risolve contenutisticamente in non economicità del servizio poiché gestito, sotto un profilo di comparazione di costi e benefici, necessariamente in perdita per il prestatore (pag. 14 del parere cit.). Il che significa che deve escludersi qualsiasi forma di remunerazione, anche indiretta, dei fattori produttivi (lavoro, capitale), potendo ammettersi unicamente il rimborso delle spese (“le documentate spese vive, correnti e non di investimento, incontrate dall’ente“: pag. 21 del parere).

In tale ottica si inscrive pertanto il dettato dell’art. 56 comma 2 del d.lgs. 117 del 2017, secondo cui “Le convenzioni di cui al comma 1 possono prevedere esclusivamente il rimborso alle organizzazioni di volontariato e alle associazioni di promozione sociale delle spese effettivamente sostenute e documentate”.

In tal senso depone peraltro anche la giurisprudenza della Corte Costituzionale che ha osservato come “Si instaura, in questi termini, tra i soggetti pubblici e gli ETS, in forza dell’art. 55, un canale di amministrazione condivisa, alternativo a quello del profitto e del mercato: la «co-programmazione», la «co-progettazione» e il «partenariato» (che può condurre anche a forme di «accreditamento») si configurano come fasi di un procedimento complesso espressione di un diverso rapporto tra il pubblico ed il privato sociale, non fondato semplicemente su un rapporto sinallagmatico.

Il modello configurato dall’art. 55 CTS, infatti, non si basa sulla corresponsione di prezzi e corrispettivi dalla parte pubblica a quella privata, ma sulla convergenza di obiettivi e sull’aggregazione di risorse pubbliche e private per la programmazione e la progettazione, in comune, di servizi e interventi diretti a elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, secondo una sfera relazionale che si colloca al di là del mero scambio utilitaristico.

Del resto, lo stesso diritto dell’Unione – anche secondo le recenti direttive 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, nonché in base alla relativa giurisprudenza della Corte di giustizia (in particolare Corte di giustizia dell’Unione europea, quinta sezione, sentenza 28 gennaio 2016, in causa C-50/14, CASTA e a. e Corte di giustizia dell’Unione europea, quinta sezione, sentenza 11 dicembre 2014, in causa C-113/13, Azienda sanitaria locale n. 5 «Spezzino» e a., che tendono a smorzare la dicotomia conflittuale fra i valori della concorrenza e quelli della solidarietà) – mantiene, a ben vedere, in capo agli Stati membri la possibilità di apprestare, in relazione ad attività a spiccata valenza sociale, un modello organizzativo ispirato non al principio di concorrenza ma a quello di solidarietà (sempre che le organizzazioni non lucrative contribuiscano, in condizioni di pari trattamento, in modo effettivo e trasparente al perseguimento delle finalità sociali)” (sentenza 26 giugno 2020 n. 131).

Pertanto, secondo quanto rimarcato dalla Corte Costituzionale con l’indicata pronuncia, lo stesso diritto dell’Unione – nonché la giurisprudenza della Corte di giustizia, che tende a smorzare la dicotomia conflittuale fra i valori della concorrenza e quelli della solidarietà – mantiene in capo agli Stati membri la possibilità di apprestare, in relazione ad attività a spiccata valenza sociale, un modello organizzativo ispirato non al principio di concorrenza ma a quello di solidarietà.

Applicando gli enunciati principi al caso di specie, occorre rilevare come le previsioni contenute nell’avviso pubblico di indizione della procedura de qua si discostino dal concetto di gratuità sopra delineato.

Infatti l’art. 4 del Bando “Durata e risorse” non si limita a prevedere il rimborso delle spese vive, prevedendo il pagamento (e non il semplice rimborso), previa fatturazione da parte del soggetto affidatario, di una parte dei fattori produttivi, ritenendo ammissibile il pagamento delle seguenti spese: le spese di gestione, i compensi agli operatori, il rimborso spese ai volontari, la retribuzione agli esperti.

Pertanto solamente una parte residuale dei costi (8%) del servizio grava sul soggetto affidatario, mentre la maggior parte dei costi, ovvero il restante (92%) resta a carico del Comune.

Appare evidente come si sia ben lontani dal concetto di gratuità di cui al richiamato parere della Commissione speciale del Consiglio di Stato e come l’asserito pagamento non sia un mero rimborso delle spese vive, con esclusione della remunerazione, anche indiretta, dei fattori produttivi tra cui il lavoro, posto che solo per i volontari è previsto un rimborso spese, mentre sono previsti compensi per gli operatori e retribuzioni per gli esperti.

La stessa circostanza che il pagamento da parte del Comune avvenga dietro presentazione di fattura depone inoltre, come dedotto da parte della Cooperativa ricorrente in prime cure, per la connotazione imprenditoriale del servizio reso, con la conseguente sua assoggettabilità anche ad I.V.A, secondo la previsione dell’art. 21 del D.P.R. 633 del 1972, secondo cui “Per ciascuna operazione imponibile il soggetto che effettua la cessione del bene o la prestazione del servizio emette fattura, anche sotto forma di nota, conto, parcella e simili o, ferma restando la sua responsabilità, assicura che la stessa sia emessa, per suo conto, dal cessionario o dal committente ovvero da un terzo”, laddove, in applicazione dell’art. 56 comma 2 del Codice del Terzo Settore, innanzi citato, che prescrive che le convenzioni di cui sopra possono prevedere a favore delle organizzazioni di volontariato e delle associazioni di promozione sociale “esclusivamente il rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate“, per le corrispondenti somme dovrebbe valere l’esclusione dall’IVA ai sensi dell’articolo 15, comma 1, n. 3), del D.P.R. n, 633/1972 (“non concorrono a formare la base imponibile: 3) le somme dovute a titolo di rimborso delle anticipazioni fatte in nome e per conto della controparte, purché regolarmente documentate”).

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