L’amministrazione comunale chiede se l’art. 1, comma 718, L. 27 dicembre 2006, n. 296 operi nel caso di elezione a consigliere comunale sopravvenuta all’incarico ricoperto di componente dell’organo di amministrazione di società di capitali, determinandosi così il divieto di corresponsione di qualsiasi emolumento a carico della società. L’amministrazione comunale profila in ipotesi la non applicazione della richiamata disposizione per la fattispecie suddetta, prospettando la vigenza dell’art. 1, comma 718, esclusivamente nel caso in cui l’esistenza o meno della carica di amministratore locale rilevi solo al momento dell’assunzione dell’ulteriore carica nella società di capitali e non nel caso di elezione successiva.
La Corte ha osservato che la disposizione in esame persegue la finalità di riduzione della spesa pubblica e di contenimento dei costi degli organi di governo e degli apparati pubblici al pari di altre disposizioni (L. 23 dicembre 2005, n. 266, in particolare art. 1, commi 52-64 a cui si aggiunge l’art. 5 del D.L. n. 78 del 31 maggio 2010) (Corte dei conti, sez. controllo Veneto, deliberazione 110/2022/PAR, cit.).
Ciò posto, l’interpretazione di cui sopra risulta conforme anche al richiamato ambito nomofilattico (SEZAUT/11/2017/QMIG, cit.). Secondo lo stesso, con riferimento al sovra citato art. 5, comma 5, D.L. 78/2010, “il termine “svolgimento”, infatti, consente di ricomprendere nella fattispecie tutte le ipotesi di incarichi esercitati da “titolari di cariche elettive”: non solo, quindi, quella del conferimento successivo all’acquisizione della carica, ma anche quella del conferimento precedente, nella quale l’incarico sia ancora in fase di “svolgimento” in costanza di mandato politico (in senso conforme: SRC Lombardia n. 666/PAR/2011 e n. 257/PAR/2012).
In conclusione, l’assunzione di cui all’art. 1, comma 718, L. 27 dicembre 2006, n. 296, che ne occupa, va intesa nella medesima prospettiva del termine svolgimento di cui all’art. art. 5, comma 5, D.L. 78/2010, anche vista la ratio comune delle due disposizioni.
Per altro verso sempre qui dirimente, secondo la Sezione Autonomie “È pur vero, (…), che in quest’ultima ipotesi “l’incarico è stato assegnato nel pieno rispetto della normativa al momento vigente e da esso sono sorte reciproche obbligazioni e diritti, che rispondono a principi di autonomia contrattuale e che, in caso di applicazione retroattiva delle norme restrittive, dovrebbero cessare di efficacia per eventi estranei alla volontà delle parti”.
Ma occorre considerare che la giurisprudenza della Corte Costituzionale (sentenza n. 349/1985 con precedenti ivi richiamati e, da ultimo, sentenza n. 108/2016) ha costantemente affermato, riguardo ai rapporti tra la stabilità dei vincoli negoziali di durata e le sopravvenienze normative, che “non è interdetto al legislatore di emanare disposizioni le quali modifichino sfavorevolmente la disciplina dei rapporti di durata, anche se il loro oggetto sia costituito da diritti soggettivi perfetti, salvo, qualora si tratti di disposizioni retroattive, il limite costituzionale della materia penale (art. 25, secondo comma, Cost.). Dette disposizioni però, al pari di qualsiasi precetto legislativo, non possono trasmodare in un regolamento irrazionale e arbitrariamente incidere sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti, frustrando così anche l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, che costituisce elemento fondamentale e indispensabile dello Stato di diritto”. Concludono la Sezione Autonomie nel senso che “Nella fattispecie all’esame la norma che pone il principio della gratuità degli incarichi è vigente da diverso tempo per cui se ne presume, con ragionevole certezza, la conoscenza da parte di colui che sta svolgendo l’incarico e che, ancora prima del momento in cui inizierà il mandato politico, decide di candidarsi per essere eletto allo svolgimento dello stesso. In conseguenza, l’intervento normativo sul rapporto contrattuale non sembra, in tal caso, determinare, retroattivamente ed imprevedibilmente, un sacrificio imposto dalla legge idoneo a frustrare un legittimo affidamento del titolare dell’incarico sulla permanenza dello stesso”.