TAR Catania, sentenza n. 3683 del 7 novembre 2024
La stazione appaltante ha ritenuto di procedere al ritiro in autotutela della procedura di gara, dei relativi atti, nonché, delle singole operazioni, ai sensi dell’art. 21 – nonies della l. 241/90, a fronte di “…ragioni di salvaguardia del pubblico interesse tali da rendere inopportuna la prosecuzione della gara di che trattasi”.
Ritiene il Collegio che, ai fini dell’obbligo informativo, l’art. 90 stabilisce espressamente che: “1. Nel rispetto delle modalità previste dal codice, le stazioni appaltanti comunicano entro cinque giorni dall’adozione: a) la motivata decisione di non aggiudicare un appalto ovvero di non concludere un accordo quadro, o di riavviare la procedura o di non attuare un sistema dinamico di acquisizione, corredata di relativi motivi, a tutti i candidati o offerenti”. Deriva che la decisione di non aggiudicare un appalto deve essere necessariamente comunicata.
La norma specifica, inoltre, che la medesima decisione deve essere, senza alcuna attenuazione, espressamente motivata anche nella fase antecedente alla aggiudicazione e, pertanto, anche in quella che assume rilievo nel caso di specie, in cui l’individuazione della migliore offerta è stata effettuata dal solo seggio di gara e non in maniera definitiva dalla stazione appaltante.
Ne deriva che il principio della reciproca fiducia non può non confluire, per quanto qui rileva, nel principio di trasparenza ed efficienza sub specie della anch’essa prevista celerità. Di guisa che il comportamento delle stazioni appaltanti va relazionata alla assoluta rappresentazione, in qualunque fase, delle motivazioni che ne determinano l’operato e ciò ancor più laddove viene messa nel nulla una procedura avviata dalla medesima Amministrazione (con pregiudizio alla celerità dell’attività amministrativa), senza che la stessa, per altro, venga definitivamente caducata, ma eventualmente riproposta emendata da asseriti errori procedurali, che devono essere tali da dover necessariamente determinare l’impossibilità di concludere l’originario procedimento.
Nel caso in esame, la motivazione appare non solo generica (riferendosi a un interesse pubblico, appunto, generico e determinato dalla sussistenza di una norma non applicabile all’appalto di somministrazione), ma anche non pertinente, posto che l’unica concreta giustificazione posta a fondamento degli atti impugnati consiste nell’asserito vulnus alla par condicio tra i vari operatori.
Tale pregiudizio, invero non specificato, non appare comprensibile, posto che la norma erroneamente richiamata nella lex di gara e non applicabile all’appalto di forniture (art. 54 del codice) stabilisce che le stazioni appaltanti prevedono negli atti di gara l’esclusione automatica delle offerte che risultano anomale, qualora il numero delle offerte ammesse sia pari o superiore a cinque.