Consiglio di Stato, sentenza n. 9323 del 20 novembre 2024
Non è possibile infatti eccepire in compensazione, a fronte di un credito vantato dall’avente diritto per consentire l’esercizio di un diritto fondamentale come quello inerente al trasporto scolastico dell’allievo disabile, l’esistenza di un debito da parte di questi o, come nel caso di specie, di un suo parente per cause del tutto estranee all’esercizio del diritto, in quanto il doveroso bilanciamento tra i due valori in gioco esige che il Comune, una volta riconosciuti come nel caso di specie, i presupposti per l’attribuzione dell’assegno, eroghi la somma per consentire alla famiglia di poter garantire al minore disabile il trasporto scolastico, si ripete, gratuito ex lege, essendo evidente che, se dovesse operare l’eccezione di compensazione, il diritto del minore all’istruzione, per mezzo del necessario trasporto sino a scuola, sarebbe paralizzato finché, in ipotesi, il debitore – in questo caso, peraltro, un soggetto terzo – non paghi il proprio debito nei confronti dell’amministrazione.
Ma in questo modo la soddisfazione del diritto fondamentale sarebbe sempre e comunque subordinata alle ragioni economiche, più o meno fondate, dell’ente pubblico creditore che, in questo modo, potrebbe esigere in via anticipata il pagamento del proprio credito rendendo impossibile, in una posizione di supremazia organizzativa, l’esercizio del diritto fondamentale da parte del cittadino.
Questa conclusione è evidentemente contraria al rango superiore che, nella gerarchia dei valori costituzionali, deve riconoscersi al diritto fondamentale del cui esercizio qui si controverte, come si evince del resto chiaramente sul piano sistematico, del resto, dall’art. 55, comma 2, c.p.a., secondo cui «la concessione o il diniego della misura cautelare non può essere subordinata a cauzione quando la domanda cautelare attenga a diritti fondamentali della persona o ad altri beni di primario rilievo costituzionale».
La norma processuale è espressione di un più generale principio, secondo cui l’esercizio del diritto fondamentale non può essere subordinato alla sola esistenza di ragioni di ordine finanziario, giacché esso possiede, per usare una metafora ben nota, un nocciolo duro, incomprimibile da ogni ragione, necessariamente recessiva, di ordine economico.
Questo Collegio è ben consapevole che secondo un orientamento l’esercizio dei diritti fondamentali deve misurarsi, se non addirittura cedere in presenza della limitatezza delle risorse finanziarie degli enti pubblici (v., di recente, Cons. St., sez. III, 12 agosto 2024, n. 7089), ma ritiene preferibile aderire a quelle tesi secondo cui uno Stato sociale di diritto, a fronte del “grido di dolore” (così, ad esempio e testualmente, Cons. St., sez. III, 10 giugno 2016, n. 2501), proveniente da moltissime situazioni concrete, deve assicurare le esigenze dei soggetti più bisognosi e, a parità di bisogno, di quelli meno abbienti, in quanto la teorica dei diritti fondamentali finanziariamente condizionati non può legittimare la mortificazione dei diritti fondamentali senza che la scelta dell’ente e, persino, del legislatore sia sorretta da una valida e superiore causa di giustificazione, attinente alla tutela del bene comune per finalità solidaristiche.