Corte di Cassazione Penale, sez. 3, sentenza n. 2240 dep 18 gennaio 2017
Un imprenditore sosteneva che l’autorizzazione a immettere, nell’aria, determinate sostanze chimiche si estenderebbe anche alle relative emissioni odorigene; e, per altro verso, che la configurabilità del reato di getto pericoloso di cose dovrebbe essere esclusa in caso di emissioni provenienti da attività autorizzata, ovviamente a condizione che esse siano contenute nei limiti dell’autorizzazione. La tesi difensiva, tuttavia, non può essere condivisa. Questa stessa Sezione della Suprema Corte, infatti, si è già pronunciata, in passato, sull’argomento, affermando che anche nel caso in cui un impianto sia munito di autorizzazione per le emissioni in atmosfera, in caso di produzione di “molestie olfattive” il reato di getto pericoloso di cose è, comunque, configurabile, non esistendo una normativa statale che preveda disposizioni specifiche e valori limite in materia di odori (così Sez. 3, n. 36905 del 18/06/2015, dep. 14/09/2015, Maroni, Rv. 265188; Sez. 3, n. 2475 del 9/10/2007, dep. 17/01/2008, Alghisi e altro, Rv. 238447). Ne consegue che non può riconoscersi automatica valenza scriminante alla produzione di emissioni odorigene pur realizzata nell’ambito dell’ordinario ciclo produttivo dell’impresa, ancorché regolarmente autorizzato. Né può condividersi l’assunto difensivo secondo cui l’unicità e la coerenza dell’ordinamento non potrebbero consentire che da un lato sia permesso e, dall’altro, sia punito uno stesso identico comportamento, atteso che l’attività autorizzata potrebbe essere in ogni caso realizzata con modalità tali da garantire, grazie all’adozione di puntuali accorgimenti tecnici, il mancato prodursi di emissioni moleste o fastidiose (in termini, v. Sez. 3, n. 15734 del 12/02/2009, dep. 15/04/2009, Schembri e altro, Rv. 243387).