Sulla natura sanzionatoria dell’obbligazione del dipendente sembrerebbe concordare lo stesso requirente nel contraddire alla richiesta della difesa di scomputare, dall’importo del danno, gli oneri fiscali e previdenziali incidenti sugli emolumenti percepiti, la ritiene “inconciliabile con la natura sanzionatoria dell’art. 53, comma 7, D.Lgs. n.165/2001,
che infatti fissa l’ammontare risarcitorio senza alcun riferimento ad eventuali riduzioni dell’ammontare dovuto”.
Secondo la Cassazione, tale sanzione, prevista ex lege, sarebbe funzionale a rafforzare la fedeltà del dipendente pubblico. L’obbligo di costui di riversare i compensi indebitamente percepiti prescinderebbe quindi dai presupposti della responsabilità amministrativa e sarebbe perciò estraneo ai confini istituzionali della giurisdizione contabile, collegata, per l’appunto, all’esistenza di un danno.
La sede giurisdizionale competente a dirimere le controversie inerenti l’adempimento di tale obbligo non potrebbe quindi che essere quella ordinaria (nel caso, come quello esaminato, di un rapporto di impiego pubblico contrattualizzato).
L’affermazione, sostiene l’ordinanza, non contraddice precedenti giurisprudenziali della medesima Corte di cassazione (tra i quali quelli invocati dal Procuratore regionale) che avevano affermato la giurisdizione contabile in fattispecie analoghe.
Secondo la Cassazione, andrebbe fissata una precisa linea di demarcazione tra le due giurisdizioni.
Qualora il giudizio attenga unicamente alle conseguenze dell’inadempimento dell’obbligo del dipendente di denunciare la percezione di compensi da parte di terzi, la relativa cognizione, giusta quanto detto, rientrerebbe nell’ambito della giurisdizione del giudice del rapporto di lavoro.
Può tuttavia accadere che l’attività illegittimamente svolta dal dipendente pubblico a favore dei terzi determini anche un vero e proprio danno a carico della PA, come potrebbe verificarsi, ad esempio, qualora l’attività in questione venga svolta durante l’orario di servizio, con conseguente sottrazione all’ente pubblico delle energie lavorative del dipendente.
Solo in tal caso la fattispecie ricadrebbe, secondo i normali canoni interpretativi, nell’ambito della giurisdizione contabile.
Nei casi esaminati in precedenza dalla Cassazione, sostiene l’ordinanza in discorso, tutti attinenti a giudizi instaurati dal Pubblico ministero contabile, la domanda proposta dall’attore riguardava, per l’appunto, vicende in cui veniva prospettato un pregiudizio per l’erario pubblico, conseguente all’attività illecitamente svolta a vantaggio di terzi in costanza di rapporto di pubblico impiego, diverso e ulteriore rispetto al mero mancato riversamento dei compensi percepiti per detta attività.
In definitiva, fattispecie come quella esaminata nell’ordinanza (e, parallelamente, come quella oggetto del presente giudizio), ratione temporis, non possono sottrarsi alle ordinarie regole di riparto di giurisdizione, con conseguente attribuzione della stessa al giudice ordinario.
In relazione al secondo argomento portato dal Pubblico ministero a sostegno della propria tesi, ovvero il principio della perpetuatio jurisdictionis fissato dall’art. 5 c.p.c., va detto che, secondo la Corte di cassazione, la novella del 2012 non ha avuto effetti esclusivamente processuali, ma anche sostanziali, “trasforma(ndo) la richiesta di pagamento discendente disciplinata ex lege, in una domanda risarcitoria, con presunzione oltretutto assoluta di danno e conseguente devoluzione alla giurisdizione contabile”.
Nel caso ora in esame, è pacifico che il Procuratore regionale non abbia neppure prospettato che dall’attività, asserita illecita, della convenuta siano derivati, per l’amministrazione di appartenenza, danni erariali del tipo di quelli ipotizzati dalla Cassazione. La domanda è, infatti, chiaramente circoscritta alla sola somma oggetto dell’obbligazione di riversamento prevista dall’art. 53, comma 7 del d.vo n. 165/2001 cit.
In adesione all’orientamento manifestato dalla Corte di cassazione con l’ordinanza n. 19072/2016 cit., va pertanto dichiarato il difetto di giurisdizione di questa Corte in favore del giudice ordinario