TAR Lazio, sentenza n. 3988 del 29 marzo 2017
Dopo alcune iniziali pronunce negative in particolare di primo grado, la giurisprudenza amministrativa ha definitivamente e condivisibilmente chiarito
(cfr. C.d.S., VI, sentt. n. 5314/2014 e n. 5315/2014) e recentemente ribadito (Sez. IV, sent. 29 febbraio 2016, n. 850) che la struttura e funzione dei buoni-pasto, sostitutivi della fruizione gratuita del servizio mensa presso la sede di lavoro esclude «ogni forma di monetizzazione indennizzante» (v. così, testualmente, l’accordo quadro del 31 ottobre 2003). «Infatti, a prescindere dalla natura assistenziale o retributiva dell’istituto in questione, è decisivo rimarcare che, nel caso di specie, i dipendenti non hanno percepito somme in denaro, bensì titoli non monetizzabili destinati esclusivamente ad esigenze alimentari in sostituzione del servizio mensa e, per tale causale, pacificamente spesi nel periodo di riferimento, e che, pertanto, si tratta di benefici destinati a soddisfare esigenze di vita primarie e fondamentali dei dipendenti medesimi, di valenza costituzionale, con conseguente inconfigurabilità di una pretesa restitutoria, per equivalente monetario, del maggior valore attribuito ai buoni-pasto nel periodo di riferimento» (così sent. n. 850/2016 cit.).
Tali considerazioni impongono pertanto l’accoglimento del primo assorbente (in quanto esclude oggettivamente l’an della ripetibilità di importi erogati in forma di “buoni-pasto) motivo di impugnativa con la conseguenza che, per un verso, vanno annullati gli atti e i provvedimenti gravati e, per altro verso, va condanna la Croce Rossa Italiana alla restituzione, in favore degli aventi diritto, di quanto indebitamente recuperato per i titoli oggetto dell’odierna controversia.