Corte di Cassazione, sentenza n. 24583 del 18 ottobre 2017
La facoltà della Pubblica Amministrazione di risolvere unilateralmente il rapporto di impiego al raggiungimento della massima anzianità contributiva è stata prevista dall’art. 72, comma 11, primo e secondo periodo, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, poi convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 112, che, nel testo originario prevedeva: “Nel caso di compimento dell’anzianità massima contributiva di 40 anni del personale dipendente, le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 possono risolvere, fermo restando quanto previsto dalla disciplina vigente in materia di decorrenze dei trattamenti pensionistici, il rapporto di lavoro con un preavviso di sei mesi.
Inoltre l’art. 16, comma 11, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, ha stabilito: “In tema di risoluzione del rapporto di lavoro l’esercizio della facoltà riconosciuta alle pubbliche amministrazioni …, e successive modificazioni, non necessita di ulteriore motivazione, qualora l’amministrazione interessata abbia preventivamente determinato in via generale appositi criteri applicativi con atto generale di organizzazione interna, sottoposto al visto dei competenti organi di controllo”.
Per i recessi intimati in data successiva all’entrata in vigore del d.l. n. 98 del 2011, è attraverso l’adozione dell’atto organizzativo che vengono tutelati gli interessi pubblici, poiché l’atto, per la sua stessa natura, è idoneo ad esplicitare le finalità dell’azione dell’ente e la sua previa adozione permette anche di verificare la riconducibilità del singolo atto di recesso alle esigenze esplicitate nel provvedimento di carattere generale.
In tal caso, quindi, per espressa volontà del legislatore, non è necessario che la risoluzione anticipata del rapporto venga ulteriormente giustificata, ben potendo l’Amministrazione limitarsi a richiamare i criteri applicativi della norma di legge individuati in via preventiva, criteri che non possono essere sindacati nel merito, non essendo consentito al giudice sostituirsi alla Pubblica Amministrazione nelle scelte di carattere organizzativo.