Corte di Cassazione, sentenza n. 25631 del 27 ottobre 2017
La forma scritta ad substantiam non può dirsi osservata solo nel caso in cui il vincolo contrattuale sia consacrato in un unico documento contrattuale recante la contestuale sottoscrizione di entrambe le parti, potendo essa realizzarsi anche con lo scambio delle missive contenenti rispettivamente la proposta e l’accettazione, vale a dire di distinte scritture formalizzate e inscindibilmente collegate, entrambe sottoscritte, così da evidenziare inequivocabilmente la formazione dell’accordo, secondo lo schema della formazione del contratto tra assenti. Quest’orientamento – seguito dalla giurisprudenza di legittimità in tema di formazione dei negozi a forma scritta ad substantiam (Cass. n. 15993/2014, n. 7747/1993, n. 12411/1991) e spesso confermato anche con riferimento ai contratti della P.A., per i quali non sempre è richiesto un unico documento scritto (Cass. n. 13656/2013, n. 15293/2005), nonché nella materia finanziaria e bancaria (Cass. n. 6559/2017, n. 5919/2016) – è condivisibile. Esso è coerente con la lettera dell’art. 17 del r.d. n. 2440 del 1923 che non prevede che il vincolo contrattuale sia espresso indefettibilmente in un unico documento sottoscritto da entrambi i contraenti (fatte salve disposizioni legislative espresse in senso diverso). Il citato art. 17 dispone infatti che i contratti a trattativa privata con la P.A. possono stipularsi non solo “per mezzo di scrittura privata firmata dall’offerente e dal funzionario rappresentante l’amministrazione”, cioè mediante un unico documento, ma anche “con atto separato di obbligazione sottoscritto da chi presenta l’offerta”, “per mezzo di obbligazione stesa appiedi del capitolato” e “per mezzo di corrispondenza, secondo l’uso del commercio, quando sono conclusi con ditte commerciali”, e non v’è ragione giuridica, di ordine testuale o sistematica, per confinare tale ultima modalità a fattispecie negoziali marginali o di modesto importo.