Corte di Cassazione Penale, sentenza n. 53825 dep 29 novembre 2017
Un Tribunale aveva condannato un medico per il reato di peculato, per via del mancato versamento all’Azienda anzidetta delle quote di sua proprietà, incassate dal prevenuto nell’ambito dell’esercizio dell’attività professionale c.d. intra moenia,
La Suprema Corte, confermando la sentenza, ha precisato che ha già avuto modo di puntualizzare che, nello schema normativo tracciato dall’art. 314 cod. pen., la riconosciuta dipendenza da “ragione del suo ufficio o servizio” della disponibilità del denaro o della cosa mobile altrui in capo all’agente, vale a connotare giuridicamente il potere che è proprio del soggetto attivo del reato: vale a dire che, affinché sia integrato il delitto di peculato, è necessario che l’appropriazione compiuta dal pubblico ufficiale, o dall’incaricato di pubblico servizio, abbia riguardo ad una res di cui quest’ultimo dispone, appunto, per una ragione legata all’esercizio di poteri o doveri funzionali, “in un contesto che consenta al soggetto di tenere nei confronti della cosa quei comportamenti uti dominus in cui consiste l’appropriazione, dovendosi ritenere incompatibile con la presenza della ragione funzionale un possesso proveniente da un affidamento devoluto solo intuitu personae (Sez. 6, n. 34884 del 07/03/2007, dep. 14/09/2007, Rv. 237693), ovvero scaturito da una situazione contra legem o evidentemente abusiva, senza alcuna relazione legittima con l’oggetto materiale della condotta” (così, in parte motiva, Sez. 6, sent. n. 35988 del 21.05.2015, Rv. 264578). Sennonché non trova rispondenza nella vicenda in esame nessuna delle situazioni da ultimo tratteggiate, che valgono ad escludere dal perimetro di operatività della fattispecie di cui all’art. 314 cod. pen. i casi in cui la disponibilità della res da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio trova la propria causale in ragioni del tutto svincolate dalla funzione o servizio dallo stesso espletata nella presente vicenda, è innegabile l’esistenza del titolo legittimante l’incasso del corrispettivo della prestazione resa, costituito – lo si ripete – dall’autorizzazione allo svolgimento di attività professionale intra moenia nell’ambito del proprio studio professionale, non avendo neppure rilievo eventuali – ma, per quanto detto, non dimostrate – irregolarità rispetto alle disposizioni normative ed organizzative che disciplinano l’attività di cui trattasi (cfr. Sez. 6, sent. n. 18015 del 24.02.2015, Rv. 263278, nonché sent. n. 18606 del 06.12.2012 – dep. 24.04.2013, Rv. 256471).