Corte di Cassazione, ordinanza n. 10142 del 26 aprile 2018
L’art. 5 del d.lgs. 61/2000 al primo comma prevede, a tutela ed incentivazione del lavoro a tempo parziale che ” Il rifiuto di un lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, o il proprio rapporto di lavoro a tempo parziale in rapporto a tempo pieno, non costituisce giustificato motivo di licenziamento.”
Deve essere rimarcato allora come anche di recente ribadito da questa Corte, seppur con riguardo all’ipotesi inversa di trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, che la modifica “ai sensi della disciplina dettata dal d.lgs. n. 61 del 2000, non può avvenire a seguito di determinazione unilaterale del datore di lavoro, ma necessita del consenso scritto del lavoratore”. Si è infatti sottolineato che la modalità oraria è un elemento qualificante della prestazione oggetto del contratto part-time sicché, la variazione, in aumento o in diminuzione, del monte ore pattuito, costituisce una novazione oggettiva dell’intesa negoziale inizialmente concordata, che richiede una rinnovata manifestazione di volontà, e non è pertanto desumibile per “facta concludentia” dal comportamento successivo delle parti ex art. 1362 c.c.” (cfr. Cass. sez. VI ord. 06/12/2016 n. 25006 e più di recente Cass. sez. IV 19.1.2018 n. 1375). Neppure nel caso in cui un contratto collettivo aziendale preveda il mutamento del 6 Corte di Cassazione – copia non ufficiale regime orario a part time come strumento alternativo alla collocazione in mobilità la regola della necessaria acquisizione del consenso scritto del lavoratore e stata ritenuta derogabile e, in applicazione della citata disposizione, si è sempre ritenuto che il rifiuto della trasformazione del rapporto non costituisse giustificato motivo di licenziamento (cfr. Cass. 14/07/2014 n. 16089 ed ivi le richiamate Cass. 12/07/2006, n. 16169, 17/03/2003 n. 3898). A