Consiglio di Stato, sentenza n. 2216 del 4 aprile 2019
Premesso in punto di fatto che, come visto, la concessione veniva rilasciata sulla base di un presupposto erroneamente rappresentato dal richiedente in riferimento alla situazione giuridica dell’immobile da demolire, va rammentato che secondo la costante giurisprudenza:
a) allorquando una concessione sia stata ottenuta dall’interessato in base ad una falsa o comunque erronea rappresentazione della realtà è consentito all’Amministrazione di esercitare il proprio potere di autotutela ritirando l’atto stesso, senza necessità di esternare alcuna particolare ragione di pubblico interesse, che, in tale ipotesi, deve ritenersi sussistente in re ipsa. Risultando azzerato sia l’interesse del destinatario del provvedimento ampliativo da annullare, sia il tempo trascorso, quando il privato istante abbia ottenuto il permesso di costruire inducendo in errore l’Amministrazione attraverso una falsa rappresentazione della realtà;
b) anche dopo l’espressa previsione della necessaria considerazione degli interessi dei destinatari dei provvedimenti ampliativi e del termine ragionevole in cui deve essere esercitata l’autotutela (art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990 e novella del 2005), l’Adunanza plenaria n. 8 del 2017, ha affermato “che la non veritiera prospettazione da parte del privato delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell’atto illegittimo a lui favorevole non consente di configurare in capo a lui una posizione di affidamento legittimo, con la conseguenza per cui l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione potrà dirsi soddisfatto attraverso il documentato richiamo alla non veritiera prospettazione di parte”;
c) anche l’ultima novella, con la legge n. 124 del 2015, all’art. 21-nonies cit. ha dettato una disciplina specifica per il caso di falsa rappresentazione dei fatti deve essere interpretata restrittivamente in riferimento alla necessità dell’accertamento processuale penale (Cons. Stato, sez. V, n. 3940 del 2018).