Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione Puglia, sentenza n. 255 del 29 aprile 2019
In sede penale cautelare era stato accertato che la dott.ssa X, utilizzando lo schermo societario della Y, svolgeva regolarmente attività libero professionale extramuraria, percependo i relativi compensi, in palese violazione degli obblighi derivanti dallo status di professore universitario a tempo pieno e dal conseguente incarico di Direttore di struttura ospedaliera-universitaria operante in regime di intramoenia.
La procura della Corte dei Conti chiedeva:
1) € 195.338,15, a titolo di differenze retributive indebitamente percepite in violazione del regime di tempo pieno;
2) € 6.572,65, a titolo di importi stipendiali indebitamente percepiti nei giorni in cui, pur trovandosi a Milano per lo svolgimento di una non consentita attività libero-professionale, risultava aver svolto attività didattiche presso l’Università, ovvero assente per malattia;
3) € 220.000,00, a titolo di “…compensi derivanti da attività non autorizzata…”, per la quale non era stata “…richiesta l’autorizzazione…” indebitamente percepiti “…sotto forma di utili societari…” distribuiti dalla società Y, ma, in effetti, per lo svolgimento “…di incarichi (…) espletati utilizzando il predetto schermo societario….
Per quanto concerne l’indebita percezione del trattamento stipendiale di professore universitario a tempo pieno nei cinque anni, ritiene il Collegio che l’avanzata domanda sia meritevole di essere accolta, non sussistendo, invero, alcun dubbio, alla luce delle inequivocabili risultanze delle indagini svolte dalla Guardia di Finanza su delega del requirente penale, sul fatto che la convenuta, pur avendo optato per il suddetto regime di tempo pieno quale professore associato della Facoltà di Medicina (ed essendo, pertanto, abilitata a svolgere esclusivamente attività libero-professionale intramoenia), abbia, invece, esercitato una non consentita attività libero-professionale extramuraria, e, conseguentemente, percependo indebitamente la differenza stipendiale prevista dall’art. 36, comma 6 del D.P.R. n. 382/1980.
All’esito di tali puntuali e documentate investigazioni, infatti, è stato accertato che la X, nel periodo dal 2009 al 2014, effettuò, nella qualità di “medico competente” ai sensi del d.lgs. n. 81/2008, numerosissime visite di controllo nei confronti dei dipendenti di importanti società aventi sede a Milano, ancorché con l’intermediazione della società a responsabilità limitata Y (di cui era amministratore unico il marito e di cui essa stessa era socia al 50% con il figlio), che aveva all’uopo stipulato apposite convenzioni con dette società.
Pertanto ritiene il Collegio che dal danno dedotto in giudizio, pari ad euro 195.383,15, debba essere detratto solo l’importo pari al 38% (vale a dire all’aliquota media applicata in sede di ritenuta alla fonte da parte dell’Università degli studi di Bari) e che, pertanto, la convenuta deve essere condannata al pagamento della somma di euro 121.109,65, oltre accessori come indicato in dispositivo.