Corte di Cassazione, sentenza n. 28110 del 31 ottobre 2019
Le questioni di diritto che vengono in rilievo sono state più volte sottoposte all’esame di questa Corte (cfr. fra le tante Cass. n. 10145 del 2018, Cass. nn. 17773 e 169 del 2017; Cass. 9917, 10063, 12442 del 2016, Cass. da 24724, 24729, 24889, 24890, 24949, 25017, 25018, 25160, 25245, 25246 del 2014) che, a partire dalla sentenza n. 24724/2014, ha affermato, in estrema sintesi, che:
a) il “passaggio diretto”, di cui all’art. 30 del d.lgs n. 165 del 2001, nella sua formulazione originaria, è riconducibile all’istituto civilistico della cessione del contratto, sicché detto passaggio è caratterizzato dalla conservazione dell’anzianità e dal mantenimento del trattamento economico goduto presso l’amministrazione di provenienza;
b) l’art. 16 della legge n. 246 del 2005 non ha natura di norma interpretativa per cui lo stesso, privo di efficacia retroattiva, non trova applicazione alle procedure di mobilità espletate antecedentemente alla sua entrata in vigore;
c) il trattamento economico acquisito dal lavoratore deve essere determinato con il computo di tutti i compensi fissi e continuativi erogati al prestatore di lavoro, quale corrispettivo delle mansioni svolte ed attinenti, logicamente, alla professionalità tipica della qualifica rivestita;
d) secondo le previsioni del CCNL del comparto scuola la retribuzione professionale docenti costituisce un compenso fisso e continuativo, in quanto corrisposto in misura non variabile e per dodici mensilità, e va quindi incluso nell’assegno personale, non potendo l’esclusione essere giustificata dal rilievo che il compenso fosse finalizzato alla valorizzazione professionale della funzione docente;
e) in caso di passaggio di personale da un’amministrazione all’altra, il mantenimento del trattamento economico, collegato al complessivo status posseduto dal dipendente prima del trasferimento, opera nell’ambito, e nei limiti, della regola del riassorbimento in occasione dei miglioramenti di inquadramento e di trattamento economico riconosciuti dalle normative applicabili per effetto del trasferimento;
f) infatti, in assenza di diversa specifica indicazione normativa, il divieto di reformatio in peius giustifica la conservazione del trattamento più favorevole, attraverso l’attribuzione dell’assegno ad personam, solo sino a quando non subentri, per i dipendenti della amministrazione di destinazione (e quindi anche per quelli transitati alle dipendenze dell’ente a seguito della cessione) un miglioramento retributivo, del quale occorre tener conto nella quantificazione dell’assegno, poiché, altrimenti, il divario sarebbe privo di giustificazione;
g) non è applicabile alla fattispecie la regola della non riassorbibilità dell’assegno, contenuta nella L. n. 537 del 1993, art. 3, comma 57, riferibile alla diversa ipotesi, ormai residuale, dei passaggi di carriera disciplinati dal d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3.