Corte di Cassazione, sentenza n. 6764 dep 20 febbraio 2020
Secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, dunque, la circostanza aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso, prevista dall’art. 7 dl. 13 maggio 1991, n. 152, non presuppone necessariamente l’esistenza di un’associazione ex art .416-bis, cod. pen., essendo sufficiente, ai fini della sua configurazione, il ricorso a modalità della condotta che evochino la forza intimidatrice tipica dell’agire mafioso; essa è pertanto configurabile con riferimento ai reati-fine commessi nell’ambito di un’associazione criminale comune, nonché nel caso di reati posti in essere da soggetti estranei al reato associativo (Sez. 6, n. 41772 del 13/06/2017, Vicidomini, Rv. 271103); in tal senso, è stato ribadito che la contestazione dell’aggravante dell’utilizzazione del “metodo mafioso” non presuppone necessariamente un’associazione di tipo mafioso costituita, essendo sufficiente che la violenza o la minaccia assumano veste tipicamente mafiosa (Sez. 2, n. 36431 del 02/07/2019, Bruzzese, Rv. 277033, in una fattispecie relativa a rapina ai danni di un furgone portavalori in cui l’aggravante è stata ravvisata nel tratto paramilitare usato per la commissione del delitto, nella attenta pianificazione dello stesso, nelle modalità brutali di realizzazione, nell’impiego di uomini e mezzi, nell’uso di armi con esplosione di colpi e nel compimento dell’atto in pochi minuti, comprovanti una professionalità criminale propria di chi appartiene a gruppi organizzati o di chi da tali gruppi, operanti nel luogo di commissione del reato, sia stato autorizzato; ex multis, Sez. 2, n. 49090 del 04/12/2015, Maccariello, Rv. 265515; Sez. 1, n. 5881 del 04/11/2011, dep. 2012, Giampa’, Rv. 251830); basta, cioè, che l’associazione appaia sullo sfondo, perché evocata dall’agente, sicché la vittima sia spinta ad adeguarsi al volere dell’aggressore – o ad abbandonare ogni velleità di difesa – per timore di più gravi conseguenze.