Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per il Veneto, sentenza n. 65 del 12 maggio 2020
Lo svolgimento di attività radicalmente incompatibili avrebbe dato luogo, previa diffida, alla decadenza dall’ufficio. Quest’ultima non ha natura sanzionatoria o disciplinare, poiché costituente una diretta conseguenza della perdita di quei requisiti di indipendenza e di totale disponibilità che, se fossero mancati ab origine, avrebbero precluso la stessa costituzione del rapporto di lavoro (cfr. Corte dei conti, Sezione Terza Giurisdizionale Centrale d’Appello, sentenza 2.02.2017, n. 55, che richiama, Corte di Cass., Sez. lav., 21 agosto 2009, n. 18608).
Venendo alla concreta quantificazione del danno, dagli atti di evince che le somme percepite dal convenuto a titolo stipendiale, al lordo dei contributi previdenziali e al netto delle ritenute fiscali, per le annualità dal 2012 al 2017, ammontano a € 248.593,66, come da informativa effettuata dall’Ateneo. Ciò in quanto, si ribadisce, gli emolumenti percepiti dal convenuto nell’arco temporale nella qualità di docente universitario erano correlati e proporzionati ad una condizione di esclusività che, nel caso di specie, è stata colpevolmente disattesa, incidendo sullo stesso “valore” della prestazione resa all’Università e, di conseguenza, sulla stessa misura degli emolumenti percepiti (Corte dei conti, Sez. III Centrale d’Appello, sentenza n. 26/2017). In altri termini, il Collegio ritiene di determinare il quantum del risarcimento, riducendo proporzionalmente, in via equitativa, gli emolumenti effettivamente percepiti, che erano stati commisurati, nel loro originario ammontare, a un rapporto di esclusività, in punto di fatto e per volontà del convenuto, inesistente, per tutti gli anni in contestazione (cit. sentenza n. 26/2017)