Gli italiani sono stati generosi in questa emergenza, donando ingenti somme di denaro in vari modi e tramite vari soggetti per contrastare la pandemia.
Ora, però, siamo alla resa dei conti, cioè i soggetti che hanno ricevuto queste somme dovranno rendere conto, cioè hanno l’obbligo di presentare dei veri e propri rendiconti finanziari.
Ma andiamo con ordine e rispondiamo alle domande: quali sono le norme applicabili per i soggetti privati e per gli enti pubblici coinvolti?
E, soprattutto, quali diritti hanno i donatori per conoscere l’effettiva destinazione delle somme donate e gli obblighi di chi ha ricevuto e/o organizzato la raccolta dei fondi?
Per i soggetti privati le norme principali applicabili in materia sono quelle del codice civile sui comitati e sulle donazioni.
Infatti i comitati sono enti che, medianti raccolta di fondi per uno scopo specifico, si fanno promotori di attività benefiche, di opere pubbliche, monumenti, esposizioni, mostre, festeggiamenti.
Non è necessaria nessuna forma specifica, va bene anche la forma orale o la forma della scrittura privata non autenticata. Non è richiesto nessun atto formale specifico (atto costituitivo, statuto, ecc…). Ciò che conta è l’annuncio della raccolta fondi per uno scopo determinato.
Gli organizzatori e coloro che assumono la gestione dei fondi raccolti sono responsabili personalmente e solidalmente della conservazione dei fondi e della loro destinazione allo scopo annunziato.
Qualora i fondi raccolti siano insufficienti allo scopo, o questo non sia piu’ attuabile, o, raggiunto lo scopo, si abbia un residuo di fondi, l’autorita’ governativa stabilisce la devoluzione dei beni, se questa non e’ stata disciplinata al momento della costituzione.
Quindi gli organizzatori non hanno facoltà di decidere di destinare le somme eventualmente residue a scopi diversi da quello annunciato.
Di contro, i donatori hanno diritto di sapere come sono stati spesi i soldi raccolti.
L’altra normativa applicabile è quella sulle donazioni. Infatti le somme donate per l’emergenza si configurano (di solito) come donazioni di modico valore, per cui non è richiesta nessuna forma specifica quale atto pubblico o altro. Si configurano inoltre come donazioni modali, cioè donazione con un onere di fare o di dare in capo al donatario, che, in questo caso, consiste nel destinare le somme per l’emergenza COVID-19.
Per l’adempimento dell’onere puo’ agire in giudizio oltre il donante, qualsiasi altro interessato.
Nel caso in l’onere diventi impossibile (p.es.: impossibilità di costruire l’ospedale che si era annunciato) questo si considera non apposto, ma rende nulla la donazione se ne ha costituito il solo motivo determinante.
Infine, vi è l’art. 20 del DPR 600/1973 che recita:
“Indipendentemente alla redazione del rendiconto annuale economico e finanziario, gli enti non commerciali che effettuano raccolte pubbliche di fondi devono redigere, entro quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio, un apposito e separato rendiconto tenuto e conservato ai sensi dell’articolo 22, dal quale devono risultare, anche a mezzo di una relazione illustrativa, in modo chiaro e trasparente, le entrate e le spese relative a ciascuna delle celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione indicate nell’articolo 108, comma 2-bis, lettera a), testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917”
Si sottolinea che tale obbligo sussiste, in caso di raccolte pubbliche di fondi, anche se non si ha un obbligo di predisporre un rendiconto finanziario ai fini fiscali. Si ricorda infatti che i comitati sono pur sempre degli enti. Il legislatore ha voluto tutelare così maggiormente la fede pubblica in questo delicato settore della raccolta fondi, prescindendo dagli obblighi fiscali.
Fin qui, gli obblighi di carattere civilistico.
Quando il denaro è consegnato o versato ad un ente pubblico (Stato o enti locali, o altri enti pubblici quali ASL), intervengono pure una serie di obblighi di rango pubblicistico, tra cui l’obbligo di tenuta di una contabilità separata e il rispetto del vincolo di destinazione.
Infatti il DL 17 marzo 2020 n. 18 (convertito con modificazioni dalla L. 24 aprile 2020, n. 27) all’art. 99 comma 5 recita che :” Per le erogazioni liberali di cui al presente articolo, ciascuna pubblica amministrazione beneficiaria attua apposita rendicontazione separata, per la quale e’ autorizzata l’apertura di un conto corrente dedicato presso il proprio tesoriere, assicurandone la completa tracciabilita’. Al termine dello stato di emergenza nazionale da COVID-19, tale separata rendicontazione dovra’ essere pubblicata da ciascuna pubblica amministrazione beneficiaria sul proprio sito internet o, in assenza, su altro idoneo sito internet, al fine di garantire la trasparenza della fonte e dell’impiego delle suddette liberalita’.
Quindi l’ente pubblico è tenuto a garantire la tracciabilità, sia in entrata, sia in uscita, di tutte le somme. Inoltre, si applicano pure le norme già citate riguardanti il vincolo di destinazione. Infatti, se la raccolta fondi è stata esplicitamente avviata con frasi tipo “emergenza coronavirus” o “raccolta COVID-19”, è evidente che le somme possono essere spese solo per quel motivo. Quindi, per esempio, se un’ASL ha introitato 600.000 euro per il COVID-19, e ne spende 550.000 per un’apparecchiatura dedicata all’emergenza, non potrà impiegare gli altri 50.000 in spese, seppur lecite e sanitarie, che non riguardano l’emergenza coronavirus.
Infine tale rendiconto deve essere pubblicato sul sito internet dell’ente pubblico, in modo che chiunque possa verificare puntualmente come sono stati spesi i soldi.
Già da subito, a dire il vero, gli organi di polizia giudiziaria sono stati allertati per evitare che improvvisate raccolte per scopi umanitari non restassero, nemmeno in parte, nelle tasche dei promotori, e che il relativo denaro fosse speso bene e solo per l’emergenza COVID-19 ma, vista la vastità del fenomeno, speriamo che anche a verifiche concluse potremo dire che gli italiani hanno fatto bene a donare e a fidarsi.