Corte di Cassazione, sentenza n. 26842 del 25 novembre 2020
La legge n. 210 del 1990, art. 2 prevede, al comma 1, che: «L’indennizzo di cui all’art. 1, comma 1, consiste in un assegno non reversibile determinato nella misura di cui alla tabella 8 allegata alla legge 29 aprile 1976, n. 177, come modificata dall’art. 8 della legge 2 maggio 1984, n. 111».
Il comma 3 del citato articolo ha introdotto l’assegno una tantum precedendo che: «Qualora a causa delle vaccinazioni o delle patologie previste dalla presente legge sia derivata la morte, spetta, in sostituzione dell’indennizzo di cui al comma 1, un assegno una tantum nella misura di lire 50 milioni da erogare ai soggetti a carico, nel seguente ordine: coniuge, figli minori, figli maggiorenni inabili al lavoro, genitori, fratelli minori, fratelli maggiorenni inabili al lavoro».
L’articolo 7 del d.l. n. 548 del 1996, convertito, con modificazioni, in legge n. 641 del 1996, ha sostituito il citato articolo 2, elevando l’importo dell’assegno a 150 milioni di lire, e ha riscritto l’ambito degli aventi diritto (includendo i figli maggiorenni, anche non inabili al lavoro), ampliandone la portata, nel profilo più squisitamente economico nel senso di considerare non dirimente che il reddito della persona deceduta rappresentasse o meno l’unico sostentamento della famiglia: «I benefici di cui al presente comma spettano anche nel caso in cui il reddito della persona deceduta non rappresenti l’unico sostentamento della famiglia».
La legge 24 dicembre 2003, n. 350, art. 3, comma 145, ha chiarito che la reversibilità dell’assegno previsto dal comma 1 dell’articolo 2 della citata legge n.210 si intende applicabile solo in presenza delle condizioni di cui all’art. 2, comma 3, così uniformando le condizioni, soggettive ed oggettive, per l’assegno reversibile e per l’assegno una tantum in considerazione della natura alternativa delle due prestazioni.
La portata delle richiamate previsioni che hanno ricondotto ad unità i presupposti costitutivi per l’assegno reversibile e per l’assegna una tantum è stata chiarita da Cass. n. 3879 del 2009 (e, più di recente, ribadita da Cass. n. 19502 del 2018), che ha rilevato che nell’ipotesi di decesso del danneggiato, occorre distinguere tra decesso causalmente connesso o non causalmente connesso con le vaccinazioni o patologie previste dalla L. 25 febbraio 1992, n. 210. Nell’ipotesi in cui la connessione causale sussista, la legge n. 210, art. 2 prevede a favore dei familiari ivi indicati il diritto a godere dell’assegno mensile reversibile (per il tempo di 15 anni) o, in alternativa, il diritto all’assegno una tantum, diritti alternativi, non penetrati nel patrimonio del dante causa, riconosciuti al familiare jure proprio.
Diversa l’ipotesi in cui la connessione causale non sussista, poiché spetta all’erede ciò che è nell’eredità, come diritto acquisito dal de cuius prima del decesso, ovvero i ratei dell’assegno istituito a favore del danneggiato, scaduti prima del suo decesso e che egli non aveva riscosso. La diversità delle provvidenze previste dal citato comma 3 dell’articolo 2 della L. n. 210 del 1992, rispetto all’indennizzo previsto dal comma 1 stesso articolo è stata riconosciuta da questa Corte nell’arresto n. 25559 del 2015 ed è stata del pari riconosciuta, da Cass. n. 19502 del 2018, la compatibilità della fruizione da parte del de cuius dell’indennizzo di cui al comma 1 con la percezione, da parte degli aventi diritto, dell’assegno una tantum di cui al comma 3.
Chiarita la natura di diritti jure proprio dei superstiti, secondo l’ordine scandito dal comma 3 dell’articolo 2 della legge n. 210 del 1992, il requisito della vivenza a carico non è stato espunto dall’ordinamento ma ulteriormente approfondito dal legislatore del 1997 che ha rimarcato la condizione di vivenza a carico pur nell’eventualità della presenza di fonti di sostentamento della famiglia diverse dal reddito della persona deceduta («il reddito della persona deceduta non rappresenti l’unico sostentamento della famiglia»).
Questa Corte, con la sentenza n. 11407 del 2018, alla quale va data continuità, interpretando il reticolato normativo scandito dalla successione evidenziata ha già ritenuto rafforzato il requisito, immanente nella legislazione in materia, della vivenza a carico della vittima, giacché la protezione accordata jure proprio con la prestazione economica in esame poggia sulla concezione dì famiglia parentale intesa quale comunità sociale di reciproco sostentamento, i cui appartenenti, nell’ordine stabilito dalla legge, risultano quali aventi diritto non tanto per il mero vincolo successorio con la vittima, quanto piuttosto per la condivisione derivante proprio dallo speciale vincolo di convivenza, cardine della legislazione e senza il quale la giustificazione stessa della misura assistenziale verrebbe a mancare.
Qualora dovesse considerarsi abolito il requisito della vivenza a carico, solo perché non ripetuto dal legislatore del 1997, in un corpo normativo che non si occupa affatto della natura dell’istituto ma si preoccupa di evidenziare la non necessaria esclusività del contributo economico della vittima al sostentamento della famiglia, l’assegno una tantum perderebbe la sua peculiare funzione pubblicistica assistenziale di ristoro, anche economico, garantito dall’ordinamento agli stretti familiari del congiunto deceduto per assumere la diversa connotazione, latamente risarcitoria, dei cui presupposti non vi è, però, traccia alcuna nell’attuale sistema normativo della provvidenza qui trattata.
La disciplina complessivamente richiamata della provvidenza assistenziale in esame si fonda, invero, sul riconoscimento del diritto soggettivo alla prestazione economica a carattere assistenziale (Cass., Sez.Un. n. 10418 del 2006) e trova il suo fondamento nei principi richiamati dalla Corte i Costituzionale (v., per tutte, Corte Cost. n. 307 del 1990) e, sostanzialmente, nell’art. 32 Cost., in collegamento con l’art. 2, perché volta ad operare il bilanciamento tra il sacrificio della salute di ciascuno e la tutela della salute degli altri, alla base dei trattamenti vaccinali, tenuto conto del dovere di solidarietà sociale, di cui agli artt. 2 e 38 Cost., giacchè «in un’ottica più avanzata di socializzazione del danno incolpevole il legislatore ordinario può individuare ipotesi, maggiormente rilevanti o ritenute meritevoli, in cui la collettività partecipa, con un indennizzo, a compensare tale danno altrimenti non risarcibile» (Cass., Sez.Un., n. 8064 del 2010; v., inoltre, fra le altre, Cass. n. 20322 del 2018).