Corte di Cassazione, sentenza 06 marzo 2014, n. 5287
Come già precisato dalla Corte di legittimità (Cass. 29 febbraio 2012 n. 3056), l’indennità di cui all’art. 32 della legge n. 183 del 2010 configura, alla luce dell’interpretazione adeguatrice offerta dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 303 del 2011, una sorta di penale ex lege a carico del datore di lavoro che ha apposto il termine nullo, ed è liquidata dal giudice, nei limiti e con i criteri fissati dal citato art. 32 (che richiama i criteri indicati nell’art. 8 della legge n. 604 del 1966), a prescindere dall’intervenuta costituzione in mora del datore di lavoro e dalla prova di un danno effettivamente subito dal lavoratore, trattandosi di indennità forfetizzata e onnicomprensiva per ¡ danni causati dalla nullità del termine nel periodo c.d. intermedio (e cioè dalla scadenza del termine alla sentenza di conversione del rapporto). Sulla base di tali premesse deve affermarsi, coerentemente con quanto più volte affermato da questa Corte in tema di indennità di cui all’art. 8 della legge n. 604 del 1966 (cfr. Cass. 5 gennaio 2001 n. 107; Cass. 15 maggio 2006 n. 11107; Cass. 14 giugno 2006 n. 13732) che la determinazione tra il minimo e il massimo della misura dell’indennità de qua spetta al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per motivazione assente, illogica o contraddittoria.
Nel caso in esame, considerato che nella fattispecie si ha riguardo ad un unico contratto, della durata di due mesi, tempestivamente però impugnato dal lavoratore, e valutati comunque tutti gli altri criteri richiamati dalla norma de qua, appare congrua la commisurazione della stessa (indennità) nella misura di mesi sei dell’ultima retribuzione percepita”