Corte di Cassazione, sentenza n 14214 dep. il 15 aprile 2021
Si contesta a X il delitto di cui agli articoli 483 cod. pen. e 76 d.P.R. 445/2000 perché nella dichiarazione sostitutiva di certificazione a sua firma finalizzata alla partecipazione alla selezione indetta dall’azienda ospedaliera, attestava falsamente la veridicità delle informazioni contenute nel suo curriculum formativo e professionale, affermando, relativamente al periodo da novembre 2007 a novembre 2008, di avere collaborato alla redazione di un magazine svolgendo attività di redazione articoli.
L’imputata ricorrendo deduce che nel caso di specie si è in presenza di un cd. “falso innocuo”, non possedendo l’autocertificazione alcuna valenza probatoria ed idoneità ad ingannare la fede pubblica posto che – pur prescindendo dall’uso – la corrispondente dichiarazione non rilevava per l’ammissione e/o partecipazione alla selezione, né ha inciso in fase valutativa
La Suprema Corte ha rigettato tale affermazioni, evidenziando che sussiste tale fattispecie quando l’infedele attestazione (nel falso ideologico) o la compiuta alterazione (nel falso materiale) sono del tutto irrilevanti ai fini del significato dell’atto e del suo valore probatorio e, pertanto, non esplicano effetti sulla sua funzione documentale, con la conseguenza che l’innocuità deve essere valutata non con riferimento all’uso che dell’atto falso venga fatto, ma avendo riguardo all’idoneità dello stesso ad ingannare comunque la fede pubblica (Sez. 5, n. 47601 del 26/05/2014, Lamberti, Rv. 261812). Nel caso in esame uno dei parametri di valutazione per la pubblica selezione era proprio l’esperienza professionale e la X, anche dichiarando di avere collaborato per un anno alla redazione di un magazine, redigendo articoli, ha conseguito il massimo dei punti. E’, quindi di tutta evidenza come quella falsa dichiarazione non possa considerarsi un falso innocuo.