Il Regolamento UE che disciplina il greenpass, nella versione rettificata con comunicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 05/07/2021, al considerando n. 36 recita: “È necessario evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate,… perché …hanno scelto di non essere vaccinate”
Citando un Quaderno della Corte Costituzionale (https://www.cortecostituzionale.it/documenti/convegni_seminari/Quadrilaterale_madrid_2017.pdf), si vuole sottolineare che “La giurisprudenza della Corte Costituzionale, …muovendo dal principio di eguaglianza ha enucleato un generale principio di “ragionevolezza”, alla luce del quale la legge deve regolare in maniera uguale situazioni uguali e in maniera razionalmente diversa situazioni diverse, con la conseguenza che la disparità di trattamento trova giustificazione nella diversità delle situazioni disciplinate. Il principio di eguaglianza “deve assicurare ad ognuno eguaglianza di trattamento, quando eguali siano le condizioni soggettive ed oggettive alle quali le norme giuridiche si riferiscono per la loro applicazione” (sentenza n. 3/1957); il principio di eguaglianza è violato quando la legge, senza un ragionevole motivo, faccia un trattamento diverso ai cittadini che si trovino in eguali situazioni (sentenza n. 15/1960); il principio risulta violato “quando, di fronte a situazioni obiettivamente omogenee, si ha una disciplina giuridica differenziata determinando discriminazioni arbitrarie ed ingiustificate” (sentenza n. 111/1981).”
Basterebbero queste poche e semplici, quanto autorevoli, parole per comprendere che trattare in modo diverso persone che si trovano in condizioni diverse (vaccinate e non vaccinate), non costituisce discriminazione.
Quindi è possibile trattare in maniera razionalmente diversa situazioni diverse, senza che ciò costituisca discriminazione.
Ecco che acquisto un tono diverso anche il secondo periodo del considerando n. 36, che recita:”Pertanto il possesso di un certificato di vaccinazione, o di un certificato di vaccinazione che attesti l’uso di uno specifico vaccino anti COVID-19”.
Il certificato di vaccinazione non può quindi essere l’unica misura che permetta l’esercizio di alcuni diritti, in primis quello di circolazione. Infatti nei considerando seguenti (nn. 40, 42 e 44) lo stesso regolamento UE contempla la possibilità che gli Stati possano chiedere un tampone negativo come presupposto per circolare liberamente.
Quindi prevedere che l’esercizio di taluni diritti sia condizionato al greenpass, inteso come strumento che pone sullo stesso piano vaccinazione, immunità, tampone negativo nelle 48 ore precedenti, è assolutamente ragionevole e non costituisce discriminazione, poichè tratta in modo diverso persone in condizioni diverse.
Concludo con quanto scritto recentemente dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 5/20118):
Occorre anzitutto osservare che la giurisprudenza di questa Corte in materia di vaccinazioni è salda nell’affermare che l’art. 32 Cost. postula il necessario contemperamento del diritto alla salute del singolo (anche nel suo contenuto di libertà di cura) con il coesistente e reciproco diritto degli altri e con l’interesse della collettività (da ultimo sentenza n. 268 del 2017), nonché, nel caso di vaccinazioni obbligatorie, con l’interesse del bambino, che esige tutela anche nei confronti dei genitori che non adempiono ai loro compiti di cura (ex multis, sentenza n. 258 del 1994).
In particolare, questa Corte ha precisato che la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 Cost.: se il trattamento è diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri; se si prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze che appaiano normali e, pertanto, tollerabili; e se, nell’ipotesi di danno ulteriore, sia prevista comunque la corresponsione di una equa indennità in favore del danneggiato, e ciò a prescindere dalla parallela tutela risarcitoria (sentenze n. 258 del 1994 e n. 307 del 1990).
Dunque, i valori costituzionali coinvolti nella problematica delle vaccinazioni sono molteplici e implicano, oltre alla libertà di autodeterminazione individuale nelle scelte inerenti alle cure sanitarie e la tutela della salute individuale e collettiva (tutelate dall’art. 32 Cost.), anche l’interesse del minore, da perseguirsi anzitutto nell’esercizio del diritto-dovere dei genitori di adottare le condotte idonee a proteggere la salute dei figli (artt. 30 e 31 Cost.), garantendo però che tale libertà non determini scelte potenzialmente pregiudizievoli per la salute del minore (sul punto, ad esempio, ordinanza n. 262 del 2004).
Il contemperamento di questi molteplici principi lascia spazio alla discrezionalità del legislatore nella scelta delle modalità attraverso le quali assicurare una prevenzione efficace dalle malattie infettive, potendo egli selezionare talora la tecnica della raccomandazione, talaltra quella dell’obbligo, nonché, nel secondo caso, calibrare variamente le misure, anche sanzionatorie, volte a garantire l’effettività dell’obbligo. Questa discrezionalità deve essere esercitata alla luce delle diverse condizioni sanitarie ed epidemiologiche, accertate dalle autorità preposte (sentenza n. 268 del 2017), e delle acquisizioni, sempre in evoluzione, della ricerca medica, che debbono guidare il legislatore nell’esercizio delle sue scelte in materia (così, la giurisprudenza costante di questa Corte sin dalla fondamentale sentenza n. 282 del 2002).
Anche nel diritto comparato si riscontra una varietà di approcci. Posto un generale favor giuridico per le politiche di diffusione delle pratiche vaccinali – basate sulle evidenze statistiche e sperimentali delle autorità competenti e specialmente dell’OMS, che considerano la vaccinazione una misura indispensabile per garantire la salute individuale e pubblica – diversi sono gli strumenti prescelti dai vari ordinamenti per conseguire gli obiettivi comuni.
A un estremo, si trovano esperienze che ancora di recente hanno conosciuto obblighi vaccinali muniti di sanzione penale (Francia); all’estremo opposto si trovano programmi promozionali massimamente rispettosi dell’autonomia individuale (come nel Regno Unito); nel mezzo, si ravvisa una varietà di scelte diversamente modulate, che comprendono ipotesi in cui la vaccinazione è considerata requisito di accesso alle scuole (come avviene negli Stati Uniti, in alcune Comunità autonome in Spagna e tuttora anche in Francia) ovvero casi in cui la legge richiede ai genitori (o a chi esercita la responsabilità genitoriale) di consultare obbligatoriamente un medico prima di operare la propria scelta, a pena di sanzioni pecuniarie (Germania).