La riforma dell’accertamento in materia di imposta di registro è legge di interpretazione autentica, e quindi retroattiva.

 

Corte di Cassazione, sentenza n. 25071 del 16 settembre 2021

Come si è anticipato, l’art.20 d.P.R. 131/86 è stato fatto oggetto – nel corso del presente giudizio – di modificazioni di diretta e fondamentale incidenza sul caso in esame. L’art. 1, comma 87, lett. A), della l. 27 dicembre 2017, n. 205 (cd. Legge di bilancio 2018) ne ha infatti modificato la previgente formulazione («L ‘imposta è applicata secondo l’intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o fa forma apparente»), la quale trova oggi una più circoscritta definizione normativa. Ribadito il principio basilare di prevalenza della sostanza sulla forma, l’intervento legislativo di riforma – superando un opposto orientamento applicativo di legittimità – ha ristretto l’oggetto dell’interpretazione al solo atto presentato aIla registrazione, ed agli elementi soltanto da quest’ultima desumibili. 

Successivamente a questa prima modificazione – ed anche in tal caso a seguito di un diverso avviso di legittimità – il legislatore è nuovamente intervenuto per affermare la natura interpretativa autentica, e dunque retroattiva, della nuova formulazione dell’art.20, così come risultante dopo la cit. L. 205/17. Il 1o gennaio 2019, infatti, è entrato in vigore l’art.1, comma 1084, della l. 30 dicembre 2018, n. 145 (bilancio di previsione per l’anno 2019), secondo cui: «L’art. 1, comma 87, fett. A), deffa f. 27 dicembre 2017, n. 205, costituisce interpretazione autentica dell’art. 20, comma 1, del testo unico di cui al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131».

Dal che si evince come la riformulazione in esame (nel senso della esclusione, dal processo di qualificazione dell’atto, degli elementi extra testuali e di collegamento negoziale) si renda applicabile – fermi i rapporti di registrazione ormai esauriti o coperti dal giudicato – anche agli atti negoziali posti in essere, come quello qui dedotto, prima del 1o gennaio 2018.  

Orbene, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 39/21 (GU 17/3/21), ha richiamato- quanto alla legittimità in sé del nuovo testo dell’art.20 – il convincimento di infondatezza della questione così come già emerso con la sentenza n. 158/20; ha quindi dichiarato inammissibili (ex art. artt. 24, 81, 97, 101, 102 e 108 Cost.), ovvero infondati (ex art.3 Cost.), gli ulteriori dubbi di legittimità costituzionale sulla retroattività ‘per interpretazione autentica’ della nuova disciplina.

All’esito dell’evoluzione interpretativa così sinteticamente riassunta, il ricorso deve trovare accoglimento. E’ infatti indubbio – costituendo ciò il nucleo fondamentale e caratterizzante della pretesa impositiva – che nella specie si verta proprio di collegamento negoziale (secondo lo schema ricorrente su riportato) e non di mera riqualificazione ‘per intrinseco’ del solo atto presentato per la registrazione. 

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