Consiglio di Stato, sentenza n 7534 dell’11 novembre 2021
La giurisprudenza ha più volte evidenziato come l’accreditamento implica il superamento non soltanto di un vaglio di discrezionalità tecnica, consistente nell’accertamento dei requisiti di qualificazione, strutturali, tecnologici e organizzativi, definiti dalle Regioni con l’individuazione di specifici standard di qualità, ma anche di uno più generale di carattere programmatorio, che trova fondamento nelle scelte della Regione, tenuta ad individuare, attraverso l’adozione di piani preventivi, le quantità di prestazioni erogabili nel rispetto di un tetto di spesa massimo, sulla cui base valutare la possibilità di accreditare nuove strutture in relazione all’effettivo fabbisogno assistenziale (C.d.S. sez. III, 24/07/2018, n.4518).
In sintesi, mediante la procedura di accreditamento l’Amministrazione accerta che l’operatore sanitario sia in grado di rendere prestazioni che soddisfino gli standard richiesti dal servizio sanitario regionale e, al contempo, coerenti con la programmazione dell’offerta.
Applicando tali coordinate ermeneutiche deve allora concludersi che sebbene l’accertamento tecnico discrezionale in fase istruttoria del possesso dei requisiti qualitativi “ulteriori” per l’esercizio delle attività sanitarie per conto del Servizio sanitario nazionale da parte delle strutture sanitarie accreditande sia presupposto indispensabile, il procedimento di accreditamento non può dirsi concluso positivamente se non con la valutazione finale che tiene conto anche della ricognizione del fabbisogno regionale, e della verifica del volume di attività svolto e della qualità dei suoi risultati.
Il decreto di accreditamento (e non il Verbale dell’O.T.A.), dunque, rappresenta il provvedimento conclusivo del procedimento di competenza dell’organo dotato di potere esterno