Traffico di influenze: quando la mediazione onerosa è illecita?

Corte di Cassazione, sesta sezione penale, sentenza n 1182 dep. 13 gennaio 2022


Quanto alla c.d. mediazione onerosa, quella cioè in cui la prestazione del committente costituisce solo il corrispettivo per la mediazione illecita promessa dall’intermediario nei confronti del pubblico agente: l’utilità corrisposta dall’acquirente dell’influenza non è diretta, neppure in parte, a retribuire il pubblico agente, bensì costituisce il prezzo per l’intercessione promessa dal “faccendiere”.
In tali casi, la questione attiene alla individuazione delle condizioni in presenza delle quali può dirsi “illecita” una mediazione onerosa che – in assenza di pressioni estorsive o, più in generale, condizionamenti corruttivi – sia finalisticamente rivolta ad ottenere, un provvedimento ovvero un qualsiasi atto favorevole, anche discrezionale.
Nel caso di mediazione onerosa, con la riforma del 2019, la punibilità viene fatta discendere dal mero accordo tra committente e intermediario, originato, sul piano dei motivi, dalla possibilità di sfruttare una relazione reale con il pubblico agente ovvero semplicemente indotta dalla ostentazione di relazioni in tutto o in parte ineffettive: un accordo che nella prospettiva dualistica del committente e del mediatore deve tuttavia essere diretto ad “influenzare” l’operato del “pubblico agente-bersaglio“, al di là dell’effettivo esercizio di una ingerenza inquinante e del conseguimento del risultato desiderato.
Alla luce delle considerazioni esposte è possibile innanzitutto definire ciò che non può considerarsi mediazione onerosa illecita, almeno finché perduri l’assenza di una regolamentazione legale dell’attività dei gruppi di pressione in grado di riempire di contenuto l’elemento di illiceità speciale in oggetto. Non può essere oggetto di incriminazione il contratto di per sè, sia esso di mediazione in senso stretto o di altro tipo, atteso che, se così fosse, la tensione della fattispecie rispetto ai principi fondanti di materialità del fatto, di tipicità, di frammentarietà, di offensività sarebbe evidente. Non può assumere rilievo il mero “uso” di una relazione personale – preesistente o potenziale– il fatto cioè che un privato contatti una persona in ragione del conseguimento di un dato obiettivo lecito perché consapevole della relazione, della possibilità di “contatto”, tra il “mediatore” ed il pubblico agente, da cui dipende il conseguimento dell’obiettivo perseguito. Né, ancora, può assumere decisivo rilievo, ai fini della connotazione di illiceità, la mera circostanza che il contratto tra committente e venditore presenti difformità dal tipo legale, presenti cioè profili di illegittimità negoziale, tenuto conto peraltro che il riferimento alla mediazione, contenuto nell’art. 346 bis cod. pen., non deve essere inteso come esclusivamente riferito al contratto tipico di mediazione disciplinato dagli artt. 1754 e ss. cod. civ., ma, più in generale, a quel sistema di rapporti, che, pur non essendo riconducibili tecnicamente al contratto in questione, si caratterizzano nondimeno per la presenza di “procacciatori d’affari” ovvero per mere “relazioni informali” fondate su opacità diffuse, da scarsa trasparenza, da aderenze difficilmente classifica bili. Il tema della validità negoziale della “mediazione” può al più assumere una valenza probatoria, di cui si dirà. In realtà, si è fatto correttamente notare, in assenza di una disciplina organica del lobbisnno, volta a disciplinare le “modalità abusive” di “contatto” tra mediatore e pubblico agente e, quindi, in mancanza di riferimenti chiari volti a definire la “illiceità modale” della mediazione, il connotato di illiceità della mediazione onerosa deve essere correlata allo “scopo”, alla finalità dell’attività d’influenza. La mediazione onerosa è illecita in ragione della proiezione “esterna” del rapporto dei contraenti, dell’obiettivo finale dell’influenza compravenduta, nel senso che la mediazione è illecita se è volta alla commissione di un illecito penale – di un reato.- idoneo a produrre vantaggi al committente. Un reato oggetto del programma contrattuale che permea la finalità del committente e giustifica l’incarico al mediatore. Una mediazione espressione della intenzione di inquinare l’esercizio della funzione del pubblico agente, di condizionare, di alterare la comparazione degli interessi, di compromettere l’uso del potere discrezionale. Si tratta di un tema in cui il profilo giuridico interferisce con quello processuale di accertamento probatorio dei fatti. Un reato, quello inquinante la mediazione, che potrà essere individuato nei suoi contorni, nella sua essenza, nella sua configurazione strutturale con un quantum probatorio – dimostrativo della finalità perturbatrice della pubblica funzione- variabile in ragione dello stato del procedimento. Ciò che assumerà rilevante valenza è la ricostruzione dell’oggetto della “mediazione”, della volontà del committente, dell’impegno, del programma obbligatorio, dell’opera che il mediatore si obbliga a porre in essere. Un accertamento che, sotto il profilo probatorio, deve essere compiuto caso per caso; potranno assumere rilievo le aspettative specifiche del committente, cioè il movente della condotta del privato compratore, il senso, la portata ed il tempo della pretesa di questi, la condotta in concreto che il mediatore assume di dover compiere con il pubblico agente, il rapporto di proporzione tra il prezzo della mediazione ed il risultato che si intende perseguire, i profili relativi alla illegittimità negoziale del contratto.

Comments are closed.