Consiglio di Stato, sentenza n. 1141 del 15 febbraio 2022
La giurisprudenza amministrativa, pronunciandosi su fattispecie aventi carattere di analogia, ha confermato il carattere eccezionale dell’istituto della riapertura del procedimento disciplinare per le forze armate e di polizia, confinato a casi tassativi (T.A.R. Veneto Venezia Sez. I, 20/01/2020, n. 55, sulla riapertura del procedimento disciplinare per le forze di pubblica sicurezza possibile in melius solo in presenza nuovi elementi di prova non conosciuti e/o non conoscibili all’epoca del procedimento).
D’altra parte, elementari ed evidenti esigenze di certezza e di garanzia caratterizzanti il settore dei procedimenti disciplinari a carico dei pubblici dipendenti non ammettono in alcun modo un’opzione ermeneutica dalla portata sostanzialmente integrativa del dato normativo.
In particolare, laddove la normativa dispone che il procedimento disciplinare già concluso possa essere riaperto solo al ricorrere di alcune tassative condizioni (emersione di nuove prove le quali possano condurre al proscioglimento dell’incolpato, ovvero ad una sanzione di minore gravità), non lascia margini per ammettere che la medesima disposizione preveda la riapertura del procedimento disciplinare in tutte le ipotesi in cui ciò avvenga in senso sfavorevole per il dipendente (Cons. Stato Sez. VI, 4/2/2010, n. 516).
In tal senso l’indicata disposizione del comma 3 dell’art. 1393 del codice dell’ordinamento militare, al pari di quella del comma 2 del medesimo articolo che consente la riapertura del procedimento dopo la comminazione di una sanzione disciplinare in caso di sentenza irrevocabile di assoluzione, risultano chiaramente ispirate a un principio di favor per l’incolpato, sicché è palese che non ammettano integrazioni meramente interpretative in malam partem.
Va dunque affermato, in accoglimento dell’assorbente motivo di appello che si è esaminato, che la succitata normativa (art. 1393 c.o.m.) non consente la riapertura, per qualsivoglia ragione, di un procedimento disciplinare che sia stato archiviato – fuori dai casi di modifica in bonam partem del suo esito, evidentemente non di archiviazione, allorché le sopravvenienze probatorie possano dar adito a un più mite esito disciplinare rispetto a quello già applicato – se non che nel solo caso in cui sia sopravvenuto il passaggio in giudicato di una sentenza di condanna del dipendente: solo in tale ipotesi, il procedimento disciplinare può (ossia deve) essere riaperto, per adeguarne l’esito al giudicato penale sopravvenuto (e quand’anche in malam partem).
Tale principio risulta violato nella vicenda esaminata, avendo l’Amministrazione riaperto – perciò illegittimamente – il procedimento disciplinare (e peraltro a distanza di anni) sul rilievo che in sede penale, a seguito di nuove indagini non seguite però da alcun giudicato di condanna, fossero emersi ulteriori elementi probatori a riprova della colpevolezza del dipendente, anteriormente non valutabili; laddove invece, come si è chiarito, siffatta sopravvenienza non è normativamente idonea a consentire la riapertura in malam partem del procedimento sanzionatorio amministrativo.
A sostegno di siffatta conclusione basta la piana considerazione del dato normativo applicabile; nondimeno, a suo ulteriore fondamento, merita aggiungersi il rilievo che, diversamente opinando, risulterebbe del tutto eluso non solo il principio del ne bis in idem che permea di sé il diritto sanzionatorio, ma anche e soprattutto l’esigenza, più volte rimarcata anche dalla giurisprudenza costituzionale, che il procedimento de quo debba concludersi entro termini perentori dal suo avvio (salve le tassative ipotesi di sospensione), che non potrebbero mai esser tali ove si ammettesse la reiterabilità del suo dies a quo per mero effetto della riapertura (sempre possibile in ogni momento) dell’indagine penale e della sua successiva archiviazione.