Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Toscana, sentenza n 218 del 30 luglio 2022
La fattispecie verte in materia di compensi percepiti a titolo di prestazione professionale non autorizzata.
Il soggetto coinvolto per lo stesso fatto è stato destinatario di un licenziamento disciplinare, è stato coinvolto in un processo penale (che si è estinto per prescrizione) e in un processo dinanzi alla Corte dei Conti, con condanna al pagamento di circa un milione di euro.
Qui le sentenze riguardanti la vicenda penale e civile:
http://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snciv&id=./20210505/snciv@sL0@a2021@n11765@tS.clean.pdf
http://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snciv&id=./20220215/snciv@sU0@a2022@n04871@tO.clean.pdf
http://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snpen&id=./20180321/snpen@s20@a2018@n13073@tS.clean.pdf
Di seguito, invece, un estratto della sentenza della Corte dei Conti.
Il danno erariale ipotizzato discende dal mancato riversamento (ai sensi dell’articolo 53, comma 7 – bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165) di compensi percepiti a titolo di prestazione professionale non autorizzata, in violazione delle norme vigenti nel diritto del pubblico impiego nonché per lo specifico settore.
La condotta tenuta dal convenuto sarebbe stata svolta in un periodo di sospensione dal servizio (18 luglio 2011 – 1 agosto 2016) e in un successivo periodo di aspettativa.
Secondo la difesa per entrambi i periodi dovrebbe essere esclusa la violazione di regole di condotta, non essendo vigenti gli obblighi di esclusività.
Dagli atti di indagine allegati alla citazione (relazione della Guardia di finanza in data 14 settembre 2019) emerge infatti che, dal 1 agosto 2011 al 1 agosto 2016, lo stesso è stato sottoposto a sospensione dal servizio ai sensi dell’articolo 82 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 e dell’articolo 4 della legge 27 marzo 2001, n. 97, in quanto sottoposto a procedimento penale.
Secondo la prospettazione difensiva, nelle fasi del rapporto lavorativo contraddistinte dalla sospensione dal servizio, in ogni caso, l’interessato non avrebbe percepito l’indennità di esclusiva, né altre poste stipendiali, ma solo ed esclusivamente un assegno alimentare.
È stato riferito, inoltre, che già all’epoca della sospensione dal servizio il legale del convenuto avrebbe chiesto ai responsabili dell’Università sulla necessità di richiedere l’autorizzazione per svolgere attività professionale, pur nella propria peculiare posizione, ricevendo risposta negativa.
Il punto di diritto essenziale per la presente vicenda è dato dall’interrogativo se i più volte citati obblighi di esclusività della prestazione lavorativa debbano essere ritenuti sussistenti anche nel periodo di sospensione cautelare dal servizio.
Il Collegio è dell’avviso che alla domanda debba essere data risposta positiva.
Al riguardo, deve essere osservato che la sospensione cautelare dal servizio è disposta nell’interesse dell’amministrazione di appartenenza, al fine di evitare che, nelle more dell’accertamento di un reato, la permanenza del dipendente nel proprio ufficio possa determinare la reiterazione di un illecito o, comunque, compromettere il buon andamento della pubblica amministrazione. Essa non determina, invece, se non per quanto espressamente previsto, il mutamento dello stato giuridico del dipendente in relazione al rapporto intercorrente con l’amministrazione di appartenenza.
Una conferma della ricostruzione secondo la quale il dipendente durante il periodo di sospensione permane in un rapporto di servizio (con i medesimi obblighi e doveri) è rappresentata dalla circostanza che, nei casi nei quali il dipendente coinvolto nel procedimento penale al termine del procedimento disciplinare non venga licenziato, si applica l’istituto della restitutio in integrum, che consiste nella reintegrazione nella situazione economica precedente alla sospensione, e che, in caso di bisogno, possa percepire un assegno alimentare (come accaduto in tal caso).
In base a tali circostanze, è evidente che nel caso di sospensione dal servizio il sinallagma contrattuale non risulta per il periodo cautelare sospeso, ma solamente affievolito.
Proprio in tal senso si è espressa in passato la giurisprudenza contabile (Sezione giurisdizionale regionale per la Puglia, sentenza 2 luglio 2016, n. 269) che ha osservato che, per le ragioni più volte citate, la sospensione cautelare “non consente l’assunzione di incarichi extraistituzionali al di fuori di ogni regola”, dovendo comunque essere richieste a tale fine le autorizzazioni prescritte dall’ordinamento.