Consiglio di Stato, sentenza n. 6654 del 28 luglio 2022
Il censurato comma 1 bis dell’art. 14 d.lgs. 33/2013 operava un’estensione dell’ambito soggettivo di applicazione del regime di pubblicazione disponendo che «le pubbliche amministrazioni pubblicano i dati di cui al comma 1 per i titolari di incarichi o cariche di amministrazione, di direzione o di governo comunque denominati, salvo che siano attribuiti a titolo gratuito, e per i titolari di incarichi dirigenziali, a qualsiasi titolo conferiti, ivi inclusi quelli conferiti discrezionalmente dall’organo di indirizzo politico senza procedure pubbliche di selezione».
In altri termini, e per quanto di interesse ai presenti fini, venivano estesi ai «titolari di incarichi dirigenziali» gli obblighi già previsti per i titolari di incarichi di indirizzo politico.
Ciò premesso, deve rilevarsi che la Corte Costituzionale si pronunciava su di una questione (si rammenta) sollevata nell’ambito di un giudizio promosso da dirigenti di ruolo, dichiarando l’art. 14, comma 1 bis, del D.Lgs. n. 33/2013 «costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 3 Cost., nella parte in cui prevede che le pubbliche amministrazioni pubblicano i dati di cui all’art. 14, comma 1, lettera f), dello stesso decreto legislativo, anche per tutti i titolari di incarichi dirigenziali, [..], anziché solo per i titolari degli incarichi dirigenziali previsti dall’art. 19, commi 3 e 4, del d.lgs. n. 165 del 2001».
Il profilo di contrasto con il principio di uguaglianza ex art. 3 della Costituzione veniva, quindi, rinvenuto nella previsione di obblighi di trasparenza relativamente a tutti i Dirigenti senza alcuna distinzione fra le variegate tipologie di incarico dirigenziale e senza tenere conto del diverso «grado di esposizione dell’incarico pubblico al rischio di corruzione e all’ambito di esercizio delle relative funzioni, prevedendo coerentemente livelli differenziati di pervasività e completezza delle informazioni reddituali e patrimoniali da pubblicare».
Nella specie, la Corte riteneva che per i soli incarichi di Segretario generale di Ministeri e di direzione di strutture articolate al loro interno in uffici dirigenziali generali (comma 3 dell’art. 19), nonché, di funzione dirigenziale di livello generale (comma 4 dell’art. 19), la peculiarità delle funzioni attribuite rendesse «non irragionevole, allo stato, il mantenimento in capo ad essi proprio degli obblighi di trasparenza di cui si discute» mentre, l’assoggettamento ai medesimi obblighi di tutti i titolari di posizione dirigenziale, viola il principio di proporzionalità l’assoggettamento alla c.d. «trasparenza rafforzata» di cui alla lett. f dell’art. 14.
Deve, quindi, ritenersi che la sentenza della Corte costituzionale esplichi effetti unicamente in ordine alla posizione di titolari di incarichi dirigenziali e non anche su quelle dei titolari di incarichi di indirizzo politico cui deve essere assimilata la posizione dell’Appellato.
L’appellato, in seno al Consiglio Amministrazione dell’Università, ricopre la carica di membro esterno ai sensi dell’art. 8, comma 3, lett. c) dello Statuto che prevede ne facciano parte «tre membri non appartenenti ai ruoli dell’Ateneo scelti dal Senato accademico su proposta del Rettore...
Circa la natura dell’incarico ricoperto è lo stesso interessato che precisa che «esercita le funzioni di indirizzo strategico e sovrintende alla gestione amministrativa, finanziaria e patrimoniale dell’Ateneo»
Tale posizione deve ritenersi attratta nell’ambito di applicazione dell’originario testo dell’art. 14 che, al comma 1, già imponeva obblighi di pubblicazione ai «titolari di incarichi politici, di carattere elettivo o comunque di esercizio di poteri di indirizzo politico».
Tale assimilazione si giustifica in ragione della sostanziale omogeneità concettuale fra la funzione di «indirizzo politico» e quella «indirizzo strategico» che compete ai titolari di «incarichi o cariche di amministrazione, di direzione o di governo» che implica una diretta incisione sulla gestione amministrativa, finanziaria e patrimoniale dell’Ateneo.
Chiarita e ribadita la diversità della fattispecie sottoposta all’esame della Corte costituzionale rispetto a quella oggetto del presente giudizio devono essere definiti gli effetti che la pronunzia in esame determina sulla posizione dell’appellante.
Le modifiche apportate in virtù del D.L. n. 162/2019, adottato in dichiarato «adeguamento alla sentenza della Corte costituzionale 23 gennaio 2019, n. 20», non incidono sugli obblighi di trasparenza dei soggetti, come l’Appellato, titolari di incarichi o cariche di amministrazione, di direzione o di governo indicati al comma 1 bis dell’art. 14 del D. Lgs. n. 33/2013 che restano quelli previsti dall’art. 14, comma 1.
La norma di cui all’art. 1, comma 7, del D. L. n. 162/2019 trova applicazione, quanto ai soggetti che si trovano nella posizione dell’odierno Appellato, solo nella parte in cui afferma che nelle more del riordino della materia «non si applicano le misure di cui agli articoli 46 e 47 del medesimo decreto legislativo n. 33 del 2013».
L’esclusione, quindi, prevista come temporanea, è espressamente riferita (non agli obblighi ma solo) al regime sanzionatorio.
Con la conseguenza che permane l’obbligo di pubblicazione dei dati ma che, per effetto della disposizione appena richiamata (la cui dichiarata transitorietà consiglierebbe che il legislatore procedesse con sollecitudine al riordino della materia, adeguandosi puntualmente alla decisione della Corte costituzionale), tale obbligo non è attualmente provvisto di sanzione in caso di sua violazione.