Corte di Cassazione, sesta sezione penale, sentenza n 45057dep il 25 novembre 2022
Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Torino, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, riduceva la pena principale e la pena accessoria inflitte all’imputato per omissione di atti d’ufficio (art. 328 cod. pen.), per essersi, in qualità di medico di continuità assistenziale, rifiutato di recarsi presso il domicilio di una paziente di età avanzata, impossibilitata a muoversi e di cui il figlio, nella telefonata al 118, aveva denunciato gravi difficoltà respiratorie.
Sul punto e muovendo dall’individuazione di quello che va ritenuto, in concreto, I”atto dell’ufficio” la cui omissione è suscettibile di assumere rilievo penale, il ricorrente correttamente afferma che la visita dorniciliare rappresenta soltanto una delle opzioni attraverso le quali il medico di continuità assistenziale può adempiere al suo dovere, ben potendo egli – laddove non la ritenga necessaria – limitarsi ad un consulto telefonico.
Infatti, vero è che l’art. 13, comma 3, dell’accordo collettivo nazionale per la regolamentazione dei rapporti con i medici addetti al servizio di guardia medica ed emergenza territoriale, reso esecutivo (ai sensi dell’art. 48 legge 23 dicembre 1978, n. 833) con d.P.R. 25 gennaio 1941, n. 41, postula un apparente automatismo ove stabilisce che il medico di continuità assistenziale «è tenuto ad effettuare al più presto tutti gli interventi che siano chiesti direttamente dall’utente […] entro la fine del turno al quale è preposto».
Tuttavia, altre fonti normative, rilevanti nel caso concreto, puntualizzano che, come d’altronde logico, il medico «deve valutare, sotto la propria responsabilità, l’opportunità di fornire un consiglio telefonico, recarsi al domicilio per una visita, invitare l’assistito in ambulatorio» (così, il Manuale per il medico di continuità assistenziale approvato dal Comitato permanente aziendaleAzienda USL della Valle d’Aosta).
Nel caso di specie, si configuravano, pertanto, tre opzioni al cui interno l’imputato era chiamato a scegliere, in base al suo apprezzamento della situazione concreta.
Deve ribadirsi che la necessità e l’urgenza di effettuare una visita domiciliare, in virtù di quanto previsto dal citato l’art. 13 dell’accordo collettivo nazionale, è rimessa alla valutazione discrezionale del sanitario di guardia, sulla base della propria esperienza, ma tale valutazione sommaria non può prescindere dalla conoscenza del quadro clinico del paziente, acquisita dal medico attraverso la richiesta di indicazioni precise circa l’entità della patologia dichiarata (Sez. 6, n. 34047 del 14/01/2003, Miraglia, Rv. 226594): richiesta che, nel caso di specie, non risulta essere stata formulata da X. L’unica opzione residua era, dunque, la visita domiciliare, in relazione alla cui mancata esecuzione l’imputato non ha addotto – tantomeno documentato – alcun impedimento durante le due fasi del giudizio di merito