Consiglio di Stato, sentenza n. 5072 del 22 maggio2023
L’esigenza di concentrazione ed effettività di tutela ha ispirato le modifiche apportate dall’art. 12 del più volte richiamato d.l. 16 luglio 2020, n. 76 all’art. 10 bis della l. n. 241 del 1990. La natura sostanziale o processuale della disposizione (il c.d. processualprocedimento) e il conseguente impatto della novella sulla validità del provvedimento elusivo comunque adottato, secondo la (nuova) disciplina dell’art. 21 octies, ha dato adito a pronunce contrastanti.
Senza attingere alla problematica di diritto transitorio, il Collegio ritiene comunque importante, quale strumento interpretativo del contesto, richiamare l’ulteriore meccanismo che il legislatore ha inteso affiancare alla limitazione infraprocedimentale della capacità di determinarsi per la p.a. in relazione all’istituto del preavviso di rigetto. La norma contempla oggi infatti anche un limite allo jus variandi dell’amministrazione proprio per il caso di riesercizio del potere in conseguenza di un giudicato di annullamento, prevedendo espressamente che «In caso di annullamento in giudizio del provvedimento così adottato, nell’esercitare nuovamente il suo potere l’amministrazione non può addurre per la prima volta motivi ostativi già emergenti dall’istruttoria del provvedimento annullato» (c.d. principio once only). A tal proposito, è ancora illuminante il precedente della sezione (Cons. Stato, sez. II, n. 6829/2022) ove si afferma che anche tale regola troverebbe applicazione solo ai procedimenti successivi all’entrata in vigore della novella, avuto riguardo peraltro al loro “incardinamento” originario e non alla data in cui viene riesercitato, ora per allora, il relativo potere.
Nel caso di specie, dunque, i contenuti dell’originario preavviso di rigetto, risalente all’8 ottobre 2007, prot. n. 166770, assumono rilievo solo in quanto è in riscontro dello stesso che l’interessato ha fornito la documentazione (fatture, preventivi e altro) che il Consiglio di Stato ha ritenuto probanti dell’avvenuta realizzazione della modifica prima del termine finale previsto dalla legge.
L’art. 2, comma 7, della l. n. 241, d’altro canto, consente l’interruzione dei termini per la conclusione di un procedimento «per una sola volta e per un periodo non superiore a trenta giorni, per l’acquisizione di informazioni o di certificazioni relative a fatti, stati o qualità non attestati in documenti già in possesso dell’amministrazione stessa o non direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni».
In sintesi, la doverosità dell’azione amministrativa e dei suoi tempi rappresenta una peculiare declinazione del principio di legalità, intesa non più solo come limite negativo all’esercizio del potere, ma anche e soprattutto come affermazione in positivo dell’obbligo che ciò avvenga e che avvenga in un tempo utile (o, se si vuole, ragionevole).
Alla luce di tutto quanto sopra è evidente che il comportamento del Comune, pure dopo il formale (ri)avvio dell’istruttoria del procedimento, senza peraltro indicare alcuna tempistica di chiusura dello stesso, integra il presupposto dell’inottemperanza al giudicato riveniente dalla sentenza n. 3667/2020.