Consiglio di Stato, sentenza n. 5007 del 19 maggio 2023
Per assicurare la fruizione del pasto ai dipendenti delle “sedi disagiate”, l’Amministrazione è chiamata, in primo luogo, a costituire una mensa di servizio; nei casi in cui sia impossibile assicurarne il funzionamento, può provvedere ai sensi dell’art. 55 del DPR n. 782 del 1985, dunque, in ordine di preferenza: a condividere mediante convenzione la mensa gestita da altri enti pubblici, ad appaltare il servizio o a stipulare accordi con esercizi privati; oppure può attribuire ai dipendenti buoni-pasto giornalieri, modalità prevista dall’art. 35 del DPR n. 254 del 1999 quale alternativa ed equivalente a tutte quelle indicate nell’art. 55 del DPR n. 782 del 1985.
Si deve dunque concordare con il Tribunale sia quando afferma che «spetta in definitiva all’Amministrazione valutare se attivare una mensa presso la sede di servizio o se stipulare una convenzione con un servizio di ristorazione o se riconoscere al personale il buono pasto», sia quando argomenta che laddove l’accesso alla mensa non sia “possibile” – cioè l’Amministrazione non riesca ad assicurarne il “funzionamento” rispetto ad alcuni dei suoi dipendenti – e non siano state stipulate convenzioni con altri Enti pubblici per l’uso della loro mensa o con ristoranti privati, ai lavoratori spetta il buono-pasto quale unica soluzione in concreto disponibile.
La possibilità o meno di accedere alla mensa deve essere valutata secondo il criterio di buona fede, che è un principio generale del diritto, corollario del dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost. e oggi codificato dall’art. 1, co. 2-bis, della legge n. 241 del 1990, quale criterio cui devono improntarsi i rapporti tra cittadino e Amministrazione, il quale, come afferma una giurisprudenza ormai consolidata, «impone a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio di agire nell’ottica di un bilanciamento degli interessi vicendevoli, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di norme specifiche» (così fin da Cass. Civ., sez. III, sent. n. 20106 del 2009).
La “impossibilità” di accedere alla mensa, rilevante ai fini della sussistenza del diritto al buono-pasto (in mancanza dell’attivazione di convenzioni con altre mense o con ristoranti), sussiste pertanto anche quando raggiungerla richiederebbe ai lavoratori un sacrificio sproporzionato.
Per quanto rileva nel caso di specie, è da considerarsi ragionevolmente sproporzionato pretendere che i dipendenti in servizio presso l’aeroporto, posto al di fuori dall’abitato cittadino, debbano entrare in città per usufruire della mensa costituita presso la Questura – dove non avrebbero altro motivo di recarsi – per poi andare o tornare in servizio oppure rientrare a casa, dato che l’Amministrazione non assicura loro la fruizione del pasto nelle vicinanze del luogo di lavoro.