La legge contro i furbetti del cartellino dichiarata parzialmente incostituzionale: una fine annunciata.

Con la sentenza n. 61 depositata il 10 aprile 2020, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del secondo, terzo e quarto periodo del comma 3-quater dell’art. 55-quater del d.lgs. n. 165 del 2001, come introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 116 del 2016, che prevedeva, tra l’altro, il danno all’immagine della pubblica amministrazione da parte del dipendente assenteista, nella misura predeterminata di almeno sei mensilità.
La Corte ha ritenuto che non fosse presente nella legge delega la possiblità di introdurre modalità di stima e quantificazione del danno all’immagine, poichè così si è costituita una un’autonoma fattispecie di responsabilità amministrativa non consentita dalla legge di delega.

Purtroppo la decisione non coglie di sorpresa, perchè già prima dell’emanazione del decreto legislativo la Corte dei Conti e il Consiglio di Stato avevano espresso forti dubbi sulla disposizione ora dichiarata illegittima.

Infatti la Corte dei Conti, nel, documento per l’audizione del 16 maggio 2016, al punto “6. Il danno all’immagine dell’amministrazione”, aveva dichiarato:” Le previsioni di cui si parla, per quanto in astratto condivisibili, ineriscono, tuttavia, a una materia – la responsabilità amministrativa e la relativa giurisdizione – decisamente estranea all’ambito oggettivo della legge di delega, né si può dire che esse si pongano “in coerente sviluppo” e in una logica di “completamento” con le scelte del legislatore delegante, così legittimando – secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale (v., fra le altre,
Corte cost. n. 219/2013 4 ) – l’intervento del legislatore delegato”

Analoga osservazione era stata pure formulata dal Consiglio di Stato nel suo parere parere n. 864/2016:” Il punto, che però qui rileva, è se una procedura così come formalmente e puntualmente disciplinata dal comma 3-quater rientri o meno nell’ambito del potere delegato al Goveno dal legislatore delegante.
Sotto il profilo del rispetto della delega e del criterio direttivo fissato dall’articolo 17, comma 1, lett. s), della legge delega, la Sezione nutre invero seri dubbi in ordine alla compatibilità con essi della disposizione in esame.”

Quindi, dovrebbe essere evidente che in uno Stato democratico e di diritto i decisori politici non possono emanare provvedimenti che costituiscono uno “strappo” all’ordinamento giuridico esistente, pena, come in questo caso, disordine e incertezza normativa.

Inps, sito in tilt: il Garante privacy avvia l’istruttoria

A seguito delle numerose segnalazioni pervenute e della notifica di data breach effettuata dall’INPS, in relazione alla violazione di dati personali che ha riguardato il suo sito istituzionale, il Garante per la protezione dei dati personali ha avviato un’istruttoria allo scopo di effettuare opportune verifiche e valutare l’adeguatezza delle contromisure adottate dall’Ente e gli interventi necessari a tutelare i diritti e le libertà degli interessati.
Al fine di non amplificare i rischi per le persone i cui dati personali sono stati coinvolti nel data breach e non incorrere in possibili illeciti, l’Autorità richiama l’attenzione sulla assoluta necessità che chiunque sia venuto a conoscenza di dati personali altrui non li utilizzi ed eviti di comunicarli a terzi o diffonderli, ad esempio sui canali social, rivolgendosi piuttosto allo stesso Garante per segnalare eventuali aspetti rilevanti.

Virus vs Privacy? Il gioco vale la candela?

Tutti noi utilizziamo Google Maps e siamo stati subito pronti a cedere i nostri dati a Google pur di evitare la coda in macchina.
Google traccia i movimenti di tutti gli utenti del mondo, così è in grado di dirci se in una determinata via c’è traffico, cosi che noi possiamo evitarlo.
Certo sarebbe bello poter fare la stessa cosa con il coronavirus: Google ci dice se in un determinato centro aggregazione, che sia un market o un cinema o la via centrale del paese, vi sono stati tanti positivi, in modo da evitare quella zona ed evitare di essere contagiati.
Ma tutto ciò è proprio quello che è stato proposto fin dall’inizio da preparati professori del  Politecnico di Milano della Business School della Bocconi, cioè il tracciamento dei positivi mediante gli smartphone.
A fronte di ciò c’è stata una levata di scudi di tanti giuristi, esperti di privacy e cittadini che hanno detto che sarebbe stato un invasione eccessiva nella privacy di ciascuno di noi.
Senza scendere nei dettagli tecnici ( per cui rinvio alle proposte effettuate da chi è più competente di me), osservo solamente che noi siamo pronti a cedere i nostri dati per evitare una coda in auto, oppure per permettere l’installazione di un’applicazione di videogiochi, ma non per evitare una pandemia.
Ma chi di noi si è mai fermato veramente a vedere i dati a cui hanno accesso le applicazioni sul nostro telefono?
Già ordinariamente tante applicazioni, non solo Google, hanno accesso ai nostri dati georeferenziati, ai nostri contatti, hanno possibilità addirittura di scrivere sul nostro dispositivo, di creare ed eliminare file, di prendere files e mandarli chissà dove.
Inoltre anche sui social sostanzialmente esponiamo i nostri dati riguardante le nostre opinioni e la nostra rete di relazioni, tutto per qualche like.
Perché allora non cedere i nostri dati allo stesso modo in cui lo facciamo per tante e tante e  tante app, per cercare di evitare i luoghi di contagio e per cercare di capire come possono essere stati contagiati i soggetti positivi?
A me piacerebbe un’app che mi dicesse quali sono i luoghi dove ho più probabilità di essere contagiato. E cederei facilmente i miei dati sugli spostamenti.